I 20 migliori album shoegaze e dream pop del 2021

Da sinistra, Postcards (foto Rachel Tabet), Clustersun, Jo's Moving Day. Dietro, Slow Crush (foto Kat De Laet), Mint Julep.

L’anno scorso la musica è sembrata in gran parte uno stringersi attorno a emozioni privatissime diventate d’un tratto universali. Si resiste con ciò che si ha a disposizione: certe canzoni hanno preso nota di come andavano le cose e hanno raccontato per filo e per segno la sofferenza di chiunque, senza però concedere margini alla disumanità. Il 2021 invece è stato qualcosa di diverso: un anno un po’ guardingo, di ripresa ma anche di attesa, con l’ignoto retrocesso al rango di tran tran e un’ostilità così diffusa e trasversale da diventare la principale moneta di scambio di questi tempi sottosopra. C’è un problema di fiducia che da anni tocca praticamente qualsiasi ambito dell’attività umana e che il Covid in questi mesi ha contribuito a esacerbare. Ogni parola viene pronunciata con il coltello fra i denti, nell’ambito di un approccio che prevede indulgenza verso se stessi e nessuna pietà per tutti gli altri. Che noia.

La negatività positiva

La musica migliore è quella che non dà mai risposte esatte, ma che semplicemente si limita a porre le domande giuste. Ed è un po’ quello che emerge dall’ascolto dei migliori album shoegaze e dream pop del 2021. I nostri Mondaze, per esempio, hanno rivendicato l’importanza di quella che loro definiscono «negatività positiva», ovvero un cinismo che in qualche caso può essere migliore di una terapia (a patto di non lasciarlo calcificare nelle tue ossa). Poi ci sono gli svedesi Wy che traducono in musica la parola matrimonio, tra incertezze e sofferenze, ma anche amore e passione. Ha un peso specifico importante il racconto che Alessandro Baronciani e il resto dei suoi ospiti portano avanti con Quando tutto diventò blu: che cosa vuol dire dover fare i conti con gli attacchi di panico, mentre il mondo attorno a te si trasforma in terra ostile e straniera. Le chiamano fragilità: io preferisco dire umanità.

In attesa degli Slowdive

Il giro del globo di Shoegaze Blog tocca la Russia dei Blankenberge, la Cina dei Jo’s Moving Day, gli Stati Uniti dei Mint Julep e dei super chiacchierati Deafheaven, il Belgio degli Slow Crush, il Libano dei Postcards e tanto altro ancora. Non può ovviamente mancare l’Italia con alcuni progetti diversissimi tra loro, ma tutti di alto livello: dallo struggente dream pop del già citato Quando tutto diventò blu al gaze d’assalto degli You, Nothing, dall’incrocio straniante di synth pop e metal dei Nightcrush al noise supersonico dei Clustersun, fino agli stessi Mondaze, sulla rampa di lancio per bombardare di shoegaze l’Europa intera. Questi sono i 20 album che quest’anno ci hanno emozionato di più. In attesa del 2022: molto presto ci sarà il ritorno degli Slowdive, mentre non scommetterei troppi soldi su quello dei My Bloody Valentine. Ma sperare non costa nulla.

20. A Ritual Sea, A Ritual Sea

Ascoltare gli A Ritual Sea è un po’ come fare un viaggio notturno in una città sconosciuta: ipnotico per le luci che si stagliano sulle strade, familiare e nostalgico come un déjà vu. Così i dublinesi ammaliano l’ascoltatore con l’originalità dei propri suoni vibranti su melodie memori di Ride e Warpaint(Ilaria Sponda)

19. Crystal Canyon, Yours with affection and sorrow

Una catarsi di suoni belli a raffica, una pioggia all’improvviso che lascia dietro di sé solo la leggerezza di un cielo azzurro e immenso. Lo shoegaze melodico dei Crystal Canyon è un vortice di riverberi avvolgenti e calmanti: un classico istantaneo quello della band americana, di cui ci si può innamorare facilmente(Ilaria Sponda)

18. Yuragi, For you, adroit but soft

Tra intermittenze di suoni sommessi e compressi e altri decisamente espansi, i giapponesi Yuragi danno spazio allo scorrere del tempo, tra pieni e vuoti sonori che si riversano l’uno nell’altro, trasformandosi in un dream pop sempre più aperto e melodico. Dopo il capolavoro del 2018 Still dreaming, still deafening, gli Yuragi vanno oltre, verso uno stile meditativo e spirituale. (Ilaria Sponda)

17. Un.Real, Islands

I portoricani Un.Real seguono la corrente Slowdive con l’uscita di Islands. Kids are astronauts è la bandiera al vento dell’album, Lovely one è un dolcissimo dialogo tra basso e voce che solletica le orecchie per diventare poi bacio completo. Gli arpeggi e synth della traccia che dà il titolo alla raccolta sono proprio un’isola strumentale dove sostare per poi ripartire dritti fino a Space shore, che sul finale lancia persino un ottone, che è il vero punto luce dei suoni notturni, adorabile in pieno buio. (Agnese Leda)

16. Jo’s Moving Day, Itinerary

Itinerary del gruppo cinese Jo’s Moving Day è una produzione molto ben realizzata che ci porta in ambientazioni dreamy. Un racconto speciale con potentissimi overdrive, urlanti chitarre e un basso densissimo, ma a tenere a bada le intemperanze shoegaze del gruppo sono i riverberi gentili e la voce femminile e vaporosa. La copertina dell’album è la foto, su scale di grigio di raffinata estetica orientale, di un elegante e timido airone affacciato da un tetto. Sarà scappato via spaventato o avrà ascoltato tutto l’album, da bravo volatile introverso? (Agnese Leda)

15. You, Nothing., Lonely // lovely

Il debut album degli You, Nothing. è diventato sin da subito un lavoro importante per la crescita della scena shoegaze italiana. Agitandosi tra punk e dream pop energico, Lonely // lovely si erige su ritmi ben precisi e ipnotici, raggiungendo picchi di adrenalina indimenticabili e nostalgie dolci da vivere ancora. E ancora. (Ilaria Sponda)

14. Deafheaven, Infinite granite

S come scream, come shoegaze e come sorpresa. O shock, perché per i fan dei Deafheaven il loro ultimo lavoro non è certo passato inosservato, anzi. Il cantante della band californiana blackgaze George Clarke ha messo (quasi) da parte il suo caratteristico stile urlato e le sonorità metal per lasciare spazio a un’interpretazione morbida e sognante tipica del dream pop. Un album a tratti etereo che però conserva potenza e intensità. Un disco divisivo per molti, ma chi siamo noi per contraddire il Guardian, che l’ha definito un «great, great album»? (Federica Palladini)

13. Mondaze, Late bloom

Nella scena del nuovo shoegaze italiano si fanno sentire da Faenza i Mondaze, con tanta dose di distorsione, sufficiente a catturare l’attenzione di chi mastica abitualmente Big Muff e malinconia. Late bloom è uscito nel freddissimo mese di dicembre 2021, ma scalda come piatto di cappelletti in brodo di shoegaze. Concrete, Stay e How soon is soon sfoggiano rullate prepotenti e plettrate che generano accordi fragorosi, quasi a voler cancellare il mondo intero. I pensierosi testi sussurrati da una voce ghostyEndless, Words undone e Incense smell – attecchiscono nelle ruvide chitarre e raccontano che cosa succede quando ci si ritrova sul lato sbagliato delle nostre giornate tipiche. (Agnese Leda)

12. Nightcrush, You mark me the deepest

Quando si opta per un suono che nasce da premesse all’apparenza inconciliabili, il rischio è che, nel tentativo di sfumare i contrasti e intrecciare gli spigoli, ci si ritrovi con una parodia che fa ridere tutti senza piacere a nessuno. I Nightcrush da Brindisi, invece, riescono a stare in equilibrio tra approcci solo apparentemente distanti. You mark me the deepest sa essere brutale come Jesu e scintillante come M83: che colpi, che emozioni.

11. Flyying Colours, Fantasy country

Nessuno ha detto che è facile, nessuno ha detto di provare così duramente, cantano i Flyying Colours in una sorta di citazione (involontaria?) dei Coldplay, mentre in sottofondo sembra di sentire un post punk salterino in stile goth – modello vecchi Cure. La canzone s’intitola It’s real, come a dire che non c’è trucco e non c’è inganno, la band australiana ha una purezza d’intenti che trova appigli nell’empatia dei testi e soprattutto nella varietà delle soluzioni soniche a disposizione: c’è lo shoegaze classico (Big mess), il kraut rock (White knuckles), la psichedelia (Eyes open) e molto altro ancora. Super bravi.

10. Slow Crush, Hush

I punk introversi come noi sanno che i suoni assordanti dello shoegaze non sono altro che una corazza per proteggere la vulnerabilità di cuori scalfiti da amori disperati, ma che restano – nonostante tutto – tenacemente aggrappati ai sogni più belli. Hush è questo: un suono al contempo guerriero e bambino che si addentra tra le selve cupe ma rassicuranti del profondo mare umano. (Ilaria Sponda)

9. Blankenberge, Everything

I russi Blankenberge hanno una facilità di suono nucleare che si trasforma in musica future shoegazing. La voce è un crooning angelico in mezzo all’inferno di decibel in propulsione, con overdrive e riverberi che prendono possesso dello spazio disponibile. Per non parlare dei ritmi a schiaffi di batteria e basso che decidono tutto – peggio di un gruppo di bambine in festa – in Time to live, Forget, Everything. Rappresentano una presenza dal sapore amabile i brani No Sense, Different e Summer morning, accompagnati da un pazzo fuzz sul basso e un rullante che pare scoppiare. Kites, High e Fragile sono il momento di un’alba gelida tra amici nottambuli. (Agnese Leda)

8. The Besnard Lakes, The Besnard Lakes are the last of the great thunderstorm warnings

I canadesi Besnard Lakes hanno raggiunto il loro massimo con un’opera che non risparmia nulla, né in termini di durata (si supera abbondantemente l’ora di ascolto), né in fatto di narrazione emozionale. Tutto il disco prende spunto dalla morte del padre del cantante Jace Lasek, avvenuta nel 2019, e la psichedelia – con evidenti vibrazioni dream pop – è il linguaggio scelto per raccontare il dolore e la sua parente più stretta, l’assenza.

7. Misty Coast, When I fall from the sky

Transparent, un delizioso brano che impreziosisce il disco dei norvegesi Misty Coast, descrive quella sensazione difficile da definire a parole, ma che è ben chiara a chi sa di cosa si sta parlando: cercare di nascondere le proprie fragilità – ancora quella parola sbagliata – senza riuscirci, perché alla fine si è del tutto trasparenti agli occhi del mondo. When I fall from the sky è un bellissimo album dream pop che parla di discese, precipizi, cadute, risalite: la vita, insomma, descritta con riverberi e melodie gentili. «Help me down when I fall from the sky». E così sia.

6. Clustersun, Avalanche

Avalanche è l’album che devia il suono dei catanesi Clustersun verso brani duri come pietra lavica, anche per l’assenza emotiva delle tastiere. Eruzioni riverberate e distorte che non sono solo un caos noise, gli overdrive sono calibrati in accattivante e stratosferica forza in ogni pezzo. Indie-menticabili e cattive Desert daze e Closer/deeper, di avanguardia gazeblues, o Sinking in to you, che rotea come una bambola di quelle che parlano e sembrano streghe in tessuto cucito bene. Il finale Scar aizza al pogo punk. (Agnese Leda)

5. Quando tutto diventò blu, Quando tutto diventò blu

Alessandro Baronciani in un’intervista dice che ci vogliono 28 minuti per leggere il suo fumetto Quando tutto diventò blu, ovvero il tempo di durata dell’omonimo album scritto con Corrado Nuccini (Giardini di Mirò) e interpretato da Ilariuni, Verano e Her Skin. Tratto dal graphic novel, il disco si compone di nove brani che mettono in musica il percorso interiore della protagonista, impegnata a fare i conti con i suoi attacchi di panico. Un’immersione che lascia senza respiro, fino alla fine, tra atmosfere rarefatte e tappeti sonori ambient e dream pop. Trovate questa mezz’ora per ascoltarlo, ne sarete affascinati. (Federica Palladini)

4. Wy, Marriage

Dopo essere comparsi nella top 20 del 2019 con Softie, il duo svedese Wy riconferma la propria maestria nel sorprenderci con un suono indie pop stavolta più prodotto e vagamente elettronico, bilanciato dalla gravità di riverberi e corde lo-fi. Questo disco è uno di quelli che ti parlano al cuore. (Ilaria Sponda)

3. Amusement Parks On Fire, An archaea

Non si è mai capito davvero perché nel 2009 i britannici Amusement Parks On Fire abbiano proclamato ottantotto mesi di pausa dall’attività musicale, ma tant’è, l’importante è che il ritorno ci sia stato davvero, prima con l’ep All the new ends (nel 2018) e ora con An archaea, che propone uno shoegaze anarchico in cui la forma canzone lascia spesso spazio a svisate, scarabocchi, contorsioni, deragliamenti. Una bolgia suonata come dio comanda. Se dovessero sparire di nuovo dalla circolazione, li andremo a stanare in capo al mondo.

2. Postcards, After the fire, before the end

La risposta poetica agli eventi dolorosi di un popolo è raccontata in After the fire, before the end dei libanesi Postcards, tra gli album più belli degli ultimi tempi, che tempo fa ho definito di genere documusicale. In brani come Home is so sad, Flowers in your hair e Summer spicca la voce/carezza di Julia Sabra, maledettamente malinconica come quella di un’illuminata Julee Cruise. Un tripudio dreamy con crescendo post-rock in January e Red, e confidenze difficili da pronunciare se non con l’aiuto di un accordo suonato al momento giusto. (Agnese Leda)

1. Mint Julep, In a deep and dreamless sleep

Signore e signori, stiamo fluttuando nello spazio. Gli statunitensi Mint Julep, ovvero Hollie e Keith Kenniff (sodali nella musica, sposati nella vita) creano brani che sembrano in lenta caduta libera, dai suoni dilatati e dalle strutture slegate, rarefatte ma non impalpabili. Non ci sono strofe né ritornelli, bensì una sorta di risacca armonica che va e viene, un suono che diventa prima psichedelia minimale, poi shoegaze astratto, infine canzoniere alieno. La musica dei Mint Julep sembra risuonare da un altrove distante ma anche misteriosamente vicinissimo. Volendo, In a deep and dreamless sleep potrebbe pure concorrere quest’anno al premio come miglior album dream pop dell’intero multiverso.

(Playlist Apple Music qui)