Playlist. Calda estate, gelido shoegaze

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Dato che l’estate ha deciso di farsi sentire in anticipo sulla tabella di marcia, battendo un colpo nelle ultime giornate della primavera con un caldo extralarge e cafone, allora Shoegaze Blog risponde nel solo modo possibile: provocando correnti gelide con una playlist composta da dieci canzoni di imperdibile shoegaze (e generi collaterali). Salva, ascolta, condividi. E soprattutto lasciati sorprendere.

Softcult, Frances Farmer will have her revenge on Seattle. Le Softcult suonano in modo inconsueto uno dei brani più belli di Kurt Cobain, un classico minore – si fa per dire – di una discografia che ormai appartiene non tanto (o non solo) alla storia del rock, ma soprattutto alla storia personale di chiunque. Qui sembra di sentire i Nirvana che suonano nel Sottosopra: uno shoegaze rallentato, oscuro, minaccioso.

Specchio, Specchio. Una canzone di meno di un minuto e mezzo, come dei Fine Before You Came sottovoce: ed è un complimento. Esistenzialismo metropolitano raccontato attraverso piccoli dettagli di una quotidianità immobile: «Ti telefono mentre mi guardo allo specchio. Non ti chiedo di provare anche questo. Se mi libero, mondo cane, poi mi oriento, forse aspetto». Ok così.

The Sensitive Club, You are mine. Non poteva mancare questa bella canzone presentata in anteprima proprio in questo sito qualche settimana fa. Shoegaze apparecchiato bene: chitarrone e chitarrine, melodia e malinconia. C’è pure il batterista dei My Vitriol e il tocco sul rullante è sempre quello dei tempi gloriosi.

Launder, Become (feat. Soko). S’intitola in un modo bizzarro il primo disco sulla lunga distanza di Launder, in uscita il 15 luglio: Happening. Che cosa stia succedendo nel mondo è tristemente chiaro, ma queste canzoni sembrano riportare tutto al punto di partenza, in un’intersezione del tempo che incrocia i flussi con gli anni Novanta, con un indie rock che era sentimento e non alta classifica, con una musica che riusciva a trovare tutti i tuoi punti deboli e li proteggeva fino all’ultima nota.

Supernowhere, Basement window. Abbasso il quattro quarti, abbasso i tempi regolari, abbasso le scelte semplici e i brani banali. I Supernowhere si complicano meravigliosamente la vita al punto che non è semplice descriverli, ma si posizionano in quella terra di mezzo tra Cocteau Twins e Don Caballero.

Tennis System, Summer sweater. L’intro è da manuale shoegaze: riff sfalsati e distorti, l’attacco della batteria che suona la carica, gli strumenti che eseguono un’apocalisse armonica. Tennis System ama il pop – la voce ha la morbidezza che serve quando il suono intorno ha la durezza del granito – e ama il noise. E noi amiamo Tennis System.

Just Mustard, … Mirrors. I Just Mustard sono un pit stop inevitabile per Shoegaze Blog: li abbiamo raccontati in lungo e in largo, siamo stati anche a Dublino per ascoltarli dal vivo. Va da sé che non potevamo non amare il nuovo album Heart under, con quelle canzoni che vibrano di una sensualità scura, un post punk come lame che stridono, uno shoegaze che si dilata nella psichedelia.

Mope Burn, In the shade. Mope Burn è Melanie Barbaro, bassista degli australiani Flyying Colours. In versione solista si arma fino ai denti di distorsioni e dissonanze, una sorta di tributo a Jesus And Mary Chain e Astrobrite, che è un po’ come dire fuoco e fiamme. Mope Burn fa una bella musica che brucia watt su watt e sembra non bastarle mai.

Fenech, … I feel my heart so strong. Da Sassari, i Fenech lanciano pietre in formato shoegaze/post punk e danno l’impressione di divertirsi un mondo. È un suono imbizzarrito, tutto spigoli e tagli armonici, come se si sentissero Deerhunter e My Bloody Valentine suonare contemporaneamente. Un ottimo casino.

Horsegirl, Bog bog 1. Di fatto è un intermezzo all’interno di un disco, Versions of modern performance, che è piuttosto vario nelle sonorità offerte. Eppure questa breve traccia strumentale interpreta alla perfezione l’anima più profonda dello shoegaze.