I 20 migliori album italogaze

Lo so. Circa cinque anni fa qui su Shoegaze Blog veniva pubblicata la classifica dei 20 migliori album italogaze di sempre. Un elenco di dischi belli, emozionanti, unici e soprattutto controcorrente. Un modo per celebrare una scena piccola, anzi piccolissima, ma che merita di essere storicizzata perché ha aperto prospettive inedite per la musica indipendente italiana. Negli ultimi anni, il mercato discografico italiano mainstream si è completamente chiuso in se stesso: ok, ci sono dati che parlano di una tendenza all’export un po’ più marcata (e, va detto, di una qualità media più alta se si parla di pop), ma l’impressione è che si continui a giocare (e a investire) nel comodo giardino di casa, come se il caso di quelli lì non avesse fatto davvero scuola. E quindi anziché provare a raccontarsi al mondo, ci si limita a descrivere un’Italia in formato ristretto, che va grossomodo da piazza San Babila all’hinterland milanese. Da questo punto di vista, lo shoegaze italiano è invece una sorta di utopia, un big bang al ralenti che – ancora – non ha capovolto lo status quo, ma che ha lasciato tracce evidenti e un’estetica sonora raffinatissima e riconosciuta, basti pensare a ciò che hanno fatto i Be Forest o, per restare in tempi recenti, i Mondaze.

Un’altra musica

Soprattutto, i gruppi italogaze hanno dimostrato che un’altra musica è possibile persino qui in Italia. Pare una banalità, è invece il mastice che unisce le vicende di questi gruppi dalle sonorità antitetiche fra loro ma dall’attitudine comune, che è l’arte per l’arte. E dunque perché una nuova classifica dei 20 migliori album italogaze? Prendo in prestito la spiegazione data da Pitchfork per giustificare il loro ennesimo articolo sui dischi più belli del decennio Novanta: il tempo passa, noi cambiamo e anche i nostri gusti si evolvono (o peggiorano), quindi figurarsi se una classifica resta indifferente allo scorrere dei giorni, dei mesi, degli anni. Senza contare che dal 2018 a oggi sono stati pubblicati album che meritano di essere presi in considerazione, perché capaci di rappresentare al meglio questa storia matta e bellissima di shoegaze e dream pop. Dunque, ecco la versione riveduta, corretta e aggiornata di quella prima lista. Vediamo se tra le canzoni di queste venti band ritrovi anche un momento prezioso della tua esistenza.

20. We Melt Chocolate, We Melt Chocolate (2019)

Quando nel 2019 uscì il primo album di questa band toscana, negli Stati Uniti sono stati più lesti di noi nel comprendere che si trattava di un lavoro visionario, rigoroso, ortodosso ma non conservatore. Quattro anni dopo siamo ancora in attesa di capire quale sarà la prossima mossa. A giudicare dai brani che ho ascoltato a Milano qualche mese fa dal vivo, c’è da entusiasmarsi.

19. In Her Eye, Change (2018)

Qui di anni ne sono passati addirittura cinque. Ma che diavolo di fine hanno fatto gli In Her Eye? Change è un piccolo capolavoro passato un po’ troppo in sordina, come spesso accade ai dischi importanti che vengono inghiottiti nel mistero di una colpevole distrazione di massa. Qui si sentono i Motorpsycho e i Ride, la psichedelia e lo shoegaze. Soprattutto si sente un’ottima band.

18. Klimt 1918, Sentimentale jugend (2016)

Venti tracce per un album massiccio e totale: post rock, shoegaze, new wave, metal e chi più ne ha più ne metta. I Klimt 1918 tornano con un lavoro che ha un suono intenso e ultra stratificato, un punto e a capo che, a distanza di tanti anni, continua a pesare parecchio sulla discografia del gruppo romano.

17. Quando tutto diventò blu, Quando tutto diventò blu (2021)

La colonna sonora del fumetto di Alessandro Baronciani è un dream pop dolente ma anche lenitivo. Certe ferite nessuno le vede perché sanguinano di nascosto, in una zona di confine tra anima e cuore. Quando tutto diventò blu è un flusso emozionale che sgorga proprio da questi squarci segreti che niente sembra riuscire a cicatrizzare. Gli attacchi di panico non sono mai stati raccontati in un modo così delicato e vero.

16. Mondaze, Late bloom (2021)

Il vero big bang dello shoegaze italiano degli ultimi anni, tra le pochissime band che in futuro potrebbero spostare davvero gli equilibri e dettare l’agenda ai più alti livelli (dice niente BBC Radio 1?). I Mondaze più che suonare appiccano incendi: canzoni torride, spesse e impenetrabili, alimentate da un nichilismo che si traveste di malinconia.

15. Brothers In Law, Hard times for dreamers (2013)

Ho riletto cosa avevo scritto cinque anni fa a proposito di Raise e il finale mi ha congelato il respiro: «Dream pop anni Novanta con vista dritta a un paio di decenni dopo, come ascoltare una storia bellissima che riprende d’incanto da dove si era spezzata, per non interrompersi più». La storia invece si è spezzata con la morte del batterista Guagno, un finale tragico e ingiusto – ma esistono poi morti giuste? Restano allora delle parole, queste, che non valgono nulla di fronte a un evento simile. Sono tempi duri per chi ama sognare. Ora più che mai.

14. Cosmetic, Plastergaze (2019)

Il gran ritorno dei Cosmetic allo shoegaze. La band romagnola posiziona in catena i pedalini giusti e ritrova il suono esatto, un po’ My Bloody Valentine e un po’ Slowdive, ma calibrati e inseriti negli arrangiamenti aperti tipicamente Cosmetic. Fanno ormai storia a sé e continuano a essere la più bella anomalia della scena indipendente italiana.

13. True Sleeper, Life happened (2019)

Il più bravo e talentuoso cantautore shoegaze italiano, un tempo noto come Weird, si ripresenta con un nuovo progetto solista in cui può sfoggiare un songwriting raffinatissimo, struggente e umbratile. Life happened andrebbe ascoltato durante l’ultima ora della notte, quel segmento temporale in cui è possibile ascoltare il respiro del mondo, sincronizzandolo col proprio: e scoprirsi non ancora soli, non ancora persi.

12. La Casa Al Mare, This astro (2015)

Prendo in prestito il commento di un utente che ha acquistato l’ep dei La Casa Al Mare su Bandcamp: «This is one of the best releases I have come across, these shoegazers/rockers from Rome. For a first release, this sounds so polished and professional you would think this was a third LP from another top 5 modern shoegaze band now. Must own! Love these guys!». E li amiamo anche noi.

11. Clustersun, Avalanche (2021)

Non so se hai mai visto i catanesi Clustersun dal vivo: questi tre tizi suonano come se stessero annunciando la fine del mondo. Un’iradiddio noise che finalmente anche in studio trova la sua piena rappresentazione: Avalanche moltiplica per mille il rumore del precedente e già poderoso Surfacing to breathe e ci regala il momento esatto in cui una band diventa supernova.

10. Soviet Soviet, Endless (2016)

C’è stato un momento in cui Pesaro era diventata la nuova storia della scena alternativa non italiana, ma mondiale. Oggi l’Italia musicale sembra andare in retromarcia rispetto a quanto abbiamo visto, vissuto e ascoltato in quegli anni, ma questi dischi sono comunque destinati a restare. I Soviet Soviet di Endless sono uno degli esempi più a fuoco di post punk mescolato con lo shoegaze. Un grande album con una traccia gigantesca, Endless beauty.

9. Sonic Jesus, Grace (2017)

Questo disco dei Sonic Jesus, pubblicato da Fuzz Club, è uno splendido big bang in cui post punk, shoegaze e synth pop trovano un terreno comune. È un lavoro ricco di sfumature, dagli Interpol a M83 passando persino per gli Strokes: dieci canzoni profondamente scure – anzi, nerissime – ma anche insospettabilmente aperte, luminose, persino esuberanti per la facilità con cui tengono ritmi alti ed elettricità costante.

8. Obree, Haze (2018)

Gli Obree con Haze tirano fuori un gioiellino di shoegaze riprocessato wave, una musica rarefatta, emozionale e cinematografica, perfetta magari per un film dolente di Uberto Pasolini, uno di quelli in cui scopri che nonostante le brutture del mondo, l’umanità non è poi senza speranza. E allora fatti un regalo: cerca questo disco, premi play e fai ripartire la magia.

7. Bia​ł​ogard, Studies on distance (2013)

Dietro a Białogard c’è Fabrizio De Felice, già con Obree e attualmente con i formidabili Huge Molasses Tank Explodes. Purtroppo sembra che questo progetto di shoegaze casalingo ad alta intensità emotiva abbia concluso il suo percorso. È un peccato, perché Studies on distance è davvero un ottimo disco ed Eleven resta uno dei pezzi più belli di sempre.

6. Rev Rev Rev, Des fleurs magiques bourdonnaient (2016)

Una delle migliori realtà shoegaze mondiali (lo ha detto Bandcamp) si conferma con questo album dai suoni violenti: un noise fotonico a dir poco prepotente, una psichedelia slabbrata e quadrimensionale, un rock storto e tarato su frequenze rumoristiche brutali. I Rev Rev Rev conoscono meglio di chiunque l’arte del caos: suonano loro, si sente l’apocalisse.

5. Be Forest, Cold (2011)

Non me ne voglia chi è arrivato temporalmente prima, ma da un punto di vista di costituzione della scena si può dire che Cold dei Be Forest rappresenti l’atto fondativo dell’intero movimento italogaze. Un album perfetto per sonorità, estetica, attitudine: un greatest hits travestito da disco d’esordio, un post punk freddo, anzi glaciale, tono su tono con la nostra malinconia lieve ma persistente. Un classico istantaneo.

4. Giardini Di Mirò, Different times (2018)

I Giardini Di Mirò da più di vent’anni sono la stella polare per chi non si accontenta di ascoltare canzoni piatte e ritornelli facili: si può provare a parlare di post rock, ma in realtà in Different times c’è un suono in costante evoluzione. Si fa zig zag tra shoegaze, dream pop e rumorismi vari: un album che ci dice, ancora una volta, che non possiamo fare a meno di questa band.

3. Felpa, Paura (2015)

Non so più in che lingua dire quanto mi piaccia il suono di chitarra di Daniele Carretti, che sembra avere un riproduttore dream pop incorporato nei pickup. Paura è un album di songwriting shoegaze crepuscolare in cui ogni nota è un batticuore e ogni parola un pezzo di vita vissuta. Un capolavoro che ancora oggi suona perfettamente compiuto.

2. etti/etta, Old friends (2018)

Il disco più bello del 2018 continua a stupire ancora oggi perché è un lavoro che non ha tempo, non ha categorie, non ha paragoni. Il duo italo-canadese etti/etta è assolutamente in controllo della situazione mentre si diverte a scatenare un tornado fortissimo in cui shoegaze, synth pop e post punk si sovrappongono in un gioco sonico a dir poco formidabile.

1. Stella Diana, Nitocris (2016)

Su Spotify la discografia degli Stella Diana si è ridotta ad appena tre album (Gemini, 57 e Nothing to expect), mentre su Bandcamp resiste il solo Nothing to expect. La band napoletana è – momentaneamente? – quasi scomparsa dai radar e dai cataloghi online e dunque bisogna affidarsi al vecchio YouTube per recuperare frammenti di Nitocris. Che non è soltanto il disco più bello degli Stella Diana: è anche l’album più bello dello shoegaze italiano e gioca lo stesso campionato dei nomi più forti della scena internazionale degli ultimi quindici anni almeno. (Nella playlist Spotify, non potendo selezionare nessuna traccia di Nitocris, è stata inserita una vecchia e bellissima canzone, Shoet).