Siamo ciò che ascoltiamo: la nostra quotidianità shoegaze e quei momenti che dicono tutto di noi

Foto di Giuseppe Musto

C’è un motivo ben preciso se in determinati momenti della vita sentiamo il bisogno di ascoltare musica shoegaze. Il fatto è che quei momenti sono lo shoegaze. È difficile da spiegare, ma lo shoegaze non è un genere musicale, piuttosto un attimo, una sensazione che resta impigliata nelle maglie del tempo. Forse è più facile con degli esempi. Questi sono i miei, ma sono certo che potrai ricordare i tuoi.

Gin e tonica

La notte in cui sono stato mollato ho vagato per ore senza meta, poi, incapace di tornare a casa, mi sono presentato alla porta di un caro amico con gli occhi gonfi. Lui ha capito, mi ha riempito un bicchiere di gin e tonica fino all’orlo. Quando il bicchiere era a metà, ne ha riempito un secondo senza dire una parola e ci ha appoggiato accanto una sigaretta. Questo è shoegaze.

Il nonno

A 19 anni ho distrutto la macchina di mio nonno. Ero terrorizzato all’idea di dirglielo. Quando l’ho fatto, lui è scoppiato a ridere e mi ha detto: «Che me ne frega della macchina! Tu stai bene?». Questo è shoegaze.

Il fazzoletto

La prima volta che sono andato dalla psicologa ho passato un’ora a parlare. Alla fine della seduta le ho fatto un’unica domanda, e lei ha risposto «Non lo so». Poi mi ha chiesto se volessi un fazzolettoQuesto è shoegaze.

Il purgatorio

Un giorno stavo passeggiando vicino casa. C’era questo ragazzino con sua madre. «Se nonna è in paradiso non la rivedrò più». «Perché dici così?», gli aveva chiesto la madre. «Perché io andrò in purgatorio». Questo è shoegaze.

Senza conducente

Una mattina di tanti anni fa vidi un’auto senza conducente scivolare lentamente lungo un vialetto sterrato e schiantarsi contro una cancellata in ferro. Nessuno se ne accorse. Nessuno uscì sul balcone, o in cortile, per vedere cosa fosse successo. Me ne andai con la sensazione di essere dentro a un sognoQuesto è shoegaze.

Birra per focaccia

Quando lavoravo a Milano, passavo la pausa pranzo in un parco, da solo, a leggere e mangiare schifezze comprate all’Esselunga. Una di quelle volte, una ragazza, che ricordo essere bella ma che nella mia mente non ha più lineamenti definiti, mi si sedette accanto. Sorseggiava una bottiglia di birra da 33. «Vuoi?» chiese. Rimanemmo così per un po’, a barattare birra per pezzi di focaccia. Mi disse il suo nome, prima di andare. Le promisi di aggiungerla su Facebook, ma non la trovai, forse perché ricordavo un nome diverso, forse perché in realtà non è mai esistita.

Quando mi chiedono cos’è lo shoegaze non so mai bene cosa rispondere, ma mi tornano in mente tutte queste storie. Attimi nei quali il dolore si è confuso con il benessere, la paura con il sollievo, la rassegnazione con la speranza. Momenti vaghi, sfocati, e apparentemente privi di significato, a cavallo tra il sogno e la realtà, che riverberano nei ricordi per una vita intera. Ecco, per me è questo lo shoegaze.