I Blankenberge tornano con More e in effetti il titolo non mente: la band russa fa molto, ma molto di più di quanto aveva fatto con il precedente Radiogaze. Quello era un ottimo disco: questo è un capolavoro. Islands, la traccia d’apertura, è quasi il teaser trailer dell’album e non solo perché è un grande esempio di epica applicata alla malinconia (o viceversa). È come se questi ragazzi avessero distanziato al massimo i singoli strumenti, creando un ambiente sonoro dagli spazi enormi, praticamente senza confini, e lasciando alla voce il compito di unire tutti i puntini dispersi nell’aria. La musica dei Blankenberge te la senti subito addosso, come se si trattasse di una tempesta assurda, imprevista e catartica, di quelle che ti si incollano alla pelle solo per toglierti di dosso le scorie dei giorni malmessi. Look around esalta il gruppo di San Pietroburgo nel modo migliore possibile, ovvero con uno schianto shoegaze che si porta via dieci o vent’anni di canzoni riverberate male e arrangiate peggio. Go centra il punto e arriva per metà diretta, compatta, definitiva, e per metà sbilenca, saltellante, attendista: scegli la prospettiva che preferisci, tanto trovi comunque la quadra che fa per te. E il sax di Until the sun shines è tormento in un suono d’incanto.
Che cos’è lo shoegaze nel 2019
Se cerchi qui il track by track hai sbagliato indirizzo: è un disco che è difficile da raccontare senza sembrare eccessivi. Premi play e fatti un’idea, tanto so già che condividerai il mio entusiasmo e farai di tutto per coinvolgere il resto del mondo. Se vuoi dare un senso allo shoegaze degli ultimo decennio, devi concedere una possibilità ai Blankenberge. More rappresenta per certi versi il culmine di un lungo percorso iniziato con una ripartenza dal livello zero, ovvero una ricostruzione dalle fondamenta di un movimento apparentemente disgregato e sconfitto, senza più eroi ed eroine e dunque senza eredi né speranze di rinascita. Fino a pochi anni fa, suonare shoegaze in maniera convincente era illusorio, se non velleitario: i Blankenberge – così come i concittadini Pinkshinyultrablast – dimostrano che le nuove band non devono più chiedere il permesso ai vecchi idoli. Gli anni Novanta sono stati belli, però adesso basta. Credibilità: è ciò che fa la differenza, è ciò che conta davvero. E i Blankenberge sono credibili eccome. Ora puoi smettere di ascoltare altra musica.