La copertina è una specie di parete sfrangiata composta di foglie e mistero. La tonalità non è totalmente verde e nemmeno completamente nera, ma emana comunque una strana e magnetica oscurità, molto simile a quella che provavo da bambino a letto, di notte, stringendo la coperta come uno scudo schierato sulla soglia del sonno: temevo non tanto i mondi spaventosi che solo gli incubi dell’infanzia sanno imbastire, quanto piuttosto il non sapere che cosa sarebbe accaduto di lì a quando avrei iniziato a sognare, come una sorta di inquietudine magico a bassa intensità. Ecco, questa inquietudine magica e misterica è alla base di Gem, l’album dei Bosco Sacro, una formazione di cui fa parte una conoscenza di Shoegaze Blog, Giulia Parin Zecchin, ovvero Julinko: basta ascoltare il post rock mercuriale di Be dust per sentirla subito a suo agio, con una vocalità austera e obliqua alla Zola Jesus che oscilla tra teatralità goth e un sussurro ispido che parrebbe quasi un growl a volume zero. I Bosco Sacro sono una band in cui una certa estetica sonora, che include This Mortal Coil, Mono e Cocteau Twins, trova una resa armonica pressoché perfetta, in cui gli arrangiamenti sono quasi sempre minimali, ma decisamente intensi, con la drammatica Emerald blood a imporsi e a imporre una direzione ben precisa all’intero progetto: un’alternanza di vuoti e pieni e neanche un momento di calo di tensione.
Bosco Sacro “Gem”. Una strana e magnetica oscurità
