Lunedì shoegaze. Ok, a parte Taylor Swift

Mentre il mondo intero dibatte sui nuovi album di Taylor Swift (sostanziale unanimità di giudizio) e dei Pearl Jam (molte più opinioni contrastanti), qui su Shoegaze Blog si resta sul pezzo e non si molla di un millimetro sulle regole di ingaggio. E pazienza se questi nomi non hanno lo stesso rilievo mediatico delle star di oggi, di cui parla chiunque, anche chi lo fa per lamentarsi della musica contemporanea. Ecco, se concedi a queste band almeno un play vedrai che c’è una gran vitalità lontano dai fuochi d’artificio del pop mainstream.

Virgins, Nothing hurt and everything was beautiful

Pronti, via. L’attacco di Softer, primo brano del nuovo album degli irlandesi Virgins, è un groove shoegaze che rimanda ai soliti My Bloody Valentine: le consuete oscillazioni chitarristiche sono un fan service fatto bene, ma forse non sorprendente. A spiccare davvero è la vocalità senza limiti di Rebecca Dow, capace di trascinare l’intera band su tutt’altro piano artistico. Diciamo che il disco parte davvero dal secondo brano, il cui titolo è per me impossibile da scrivere senza fare copia e incolla: basta un attimo appena per ritrovarsi appieno in un’entusiasmante corsa dreamgaze che ci lascia felici, euforici, pronti a ripartire. Possiamo dire che questo album è migliore del precedente. E il precedente era molto, molto buono.

Svalblue, Blue

Da Bangkok, Thailandia, uno dei più interessanti dischi shoegaze usciti finora nel 2024. È un lavoro che non ha compromessi: si suona più forte che si può, senza cercare nulla che non sia un fracasso dolce, contundente ed empatico. I would cry, con quell’inizio ossessivo, saltellante e rumoroso alla You made me realise, è forse il succo del discorso: rumore privo di compromessi e chi si è visto si è visto. Ma anche chi cerca le melodie tenui, quelle da cantare a mezza bocca e a tutto cuore, troverà soddisfazione tra le tracce di Blue. Niente male.

Lozenge, Radio song

I britannici Lozenge tirano fuori l’asso segreto con Radio song, una bella canzone di shoegaze sgranato, lieve e, appunto, radiofonico, come se in un colpo solo volesse trovare un punto d’incontro tra melodie pop anni Ottanta e armonie rock anni Novanta. C’è molta sincerità in questi quasi tre minuti di shoegaze lineare ed efficace, in cui la nostalgia non è una moneta di scambio per gente che si mette in posa su TikTok, bensì è il sentimento esatto di chi ancora oggi fatica a trovare il proprio posto nel mondo.

Air Formation, Air Formation

Inizialmente fa sorridere la biografia dei britannici Air Formation su Bancamp. «Gli Air Formation si sono formati nel 2000, molto prima che progenitori spirituali come Slowdive e Loop fossero considerati influenze accettabili». Poi però la riflessione si fa amara. Chissà infatti quante band valide abbiamo perso perché in quei decenni di oscurantismo culturale ascoltare lo shoegaze era considerato alla stessa stregua di coniugare al femminile una nota pietanza tonda da strada siciliana: un DON’T grande così. Oggi che finalmente lo shoegaze è sdoganato persino su TikTok (e l’arancina ha sconfitto il revisionismo storico degli arancini di Montalbano), possiamo rallegrarci del fatto che gli Air Formation abbiano tenuto duro: che peccato sarebbe stato perdere queste canzoni di shoegaze sognante e struggente.

Moonpools, Say anything

Ok, da queste parti – e non solo – la parola Alvvays è sinonimo di amore, dunque non posso che parteggiare per gli svizzeri Moonpools, che con il loro vigoroso noise pop mi prendono e mi portano via alla prima nota. Say anything ha molto dell’afflato orecchiabile del gruppo di Molly Rankin, ma le somiglianze stilistiche lasciano il tempo che trovano se c’è il talento e ai Moonpools, in effetti, il talento non sembra proprio mancare, perché la frenesia armonica che caratterizza questa traccia è di quelle che non lasciano indifferenti. Gran bel singolo.