Playlist. Dieci incredibili cover shoegaze

Venticinque anni fa misi su la mia prima band, i 2 Young 2 Die. Era un periodo in cui per me cantare voleva dire ridurre in poltiglia le corde vocali con urla innaturali e scomposte, più alla Kurt Cobain che alla Chris Cornell. Il rock non lo vivevo come un genere musicale, ma come un partito politico d’opposizione extraparlamentare: un programma chiaro e ben definito – riassumibile grossolanamente in depenalizzazione del male di vivere, equiparazione tra ottimismo e berlusconismo, legge d’iniziativa popolare per la messa al bando degli assoli di chitarra – e la voglia di fare fuoco e fiamme sul palco. Ero consapevole del fatto che la mia intera esistenza dipendeva da un singolo verso: the world is a vampire. Perché quando hai sedici anni il mondo ha davvero le sembianze di un vampiro che ti succhia il sangue, ma non la rabbia. Ecco, con le cover si instaura sempre un legame profondissimo, intimo, assoluto, per certi versi ancora più forte e intenso di quello – naturale, inevitabile – con le proprie canzoni: nella mia esperienza artistica del tutto irrilevante, realizzare una cover non è altro che un modo per raccontare a modo mio quello che i brani che ho amato hanno raccontato di me molti anni prima (e continuano a fare con terrificante precisione). Così mi sembra una buona idea proporre una nuova playlist Spotify di Shoegaze Blog con dieci, splendide reinterpretazioni shoegaze e dream pop di alcuni dei nostri gruppi preferiti. Premi play e preparati a restare a bocca aperta.

Wednesday & MJ Lenderman, Perfect. Di questo capolavoro se n’era già parlato qualche mese fa. Uno dei più bei tributi a una delle canzoni più emozionanti degli Smashing Pumpkins.

Field Mouse, Falling. Anche questa cover l’avevamo segnalata in passato. È probabilmente la cover più affascinante che sia mai stata realizzata di un classico come la sigla di Twin Peaks, cantata dall’indimenticabile Julee Cruise.

Say Sue Me, True love will find you in the end. La band coreana affronta con enorme rispetto uno dei brani più belli di Daniel Johnston. Una reinterpretazione piena di brividi, di emozioni, di verità.

Felpa, Altogether. La chitarra dolente di Felpa trasforma questo brano degli Slowdive in uno struggente dream pop a scorrimento slowcore. Che stile.

Nothing, Heavy water / I’d rather be sleeping. I Nothing riprendono uno dei brani più belli di sempre, una magia della regina Grouper che nelle mani della band americana diventa un batticuore in fiamme.

Soccer Mommy, Drive. Altro superclassico, stavolta dei Cars, che Soccer Mommy trasforma in un pop intimo: una metropoli notturna osservata attraverso le fessure di una cameretta. Raffinatissima.

Sheep’s Bed, Just like honey. Uguale, ma diversa. Il rischio di rovinare un caposaldo del rock alternativo come quello dei Jesus And Mary Chain era alto, ma gli Sheep’s Bed trovano il giusto punto di caduta.

The Stargazer Lilies, Creep. Una versione sfalsata, onirica, psichedelica. I Radiohead rivisitati dagli statunitensi Stargazer Lilies sono un’esperienza quasi mistica.

Dum Dum Girls, There is a light that never goes out. Gli Smiths in versione indie rock: lo spleen giovanile resta intatto, ma le Dum Dum Girls imbastiscono un’atmosfera elettrica potente e drammatica.

Softcult, Frances Farmer will have her revenge on Seattle. I Nirvana di In utero sono quelli che mi piacciono di più: la sintesi esatta tra fruibilità e intransigenza. Le Softcult trasformano queste note in uno shoegaze inquietante, come se stessero suonando nel Sottosopra.