Giovedì shoegaze: hai chiesto rumore, ora ottieni tempesta

Blankenberge

Alba si rivolge a me come se stesse parlando con un pinscher nano: non si aspetta un contraddittorio, ma solo un interlocutore con una soglia d’attenzione bassa il giusto da non fare domande. Eccomi qui, insomma: le sorrido stile Bruce Campbell proprio mentre mi ricordo di essermi scordato di spegnere il riscaldamento a casa. Sarà tipo la terza volta in un mese che succede, porca puttana. “Non vado pazza per le grandi riunioni con i vecchi compagni di scuola”, dice. La parola vecchi dovrebbe offendermi. E in effetti mi offendo, ma non lo do a vedere. Lei intanto – che è vecchia proprio come me – si pulisce il naso con un fazzoletto di carta. Per qualche strano motivo non lo butta: fingendo indifferenza, analizza la quantità di confettura di muco che è riuscita a produrre con un unico soffio ben assestato alla narice destra. “L’essermi trasferita in un’altra città rispetto a quella in cui sono nata mi ha garantito negli anni una scusa plausibile e soprattutto inattaccabile per dire di no a quei rompicoglioni che vogliono riallacciare rapporti e riprendere discorsi”. In compenso non so per quale arcano motivo lei stia riallacciando i rapporti con me proprio in questo momento. Continuo a mostrarle un sorriso strano, con la mandibola in avanti e lo sguardo inghiottito dalle lenti un po’ sporche dei miei occhiali. Prendo allora il bicchiere di birra davanti a me come se fosse la torcia olimpica e mi allontano lentamente, come un marciatore che inizia la sua fuga verso la vittoria. Alba non fa una piega: non sembra nemmeno accorgersi che l’ho lasciata lì da sola. Con lo sguardo aggancia un’altra persona. Carlo. Un labrador, probabilmente.

La rubrica del lunedì da qualche settimana è diventata – per vari motivi – piuttosto ballerina e si sposta un po’ qua e un po’ là durante tutto l’arco della settimana, come se fosse un brano scandito da un ritmo in sette quarti: arriva sempre al dunque, ma non quando te l’aspetti. Cambia poco, comunque: l’importante è che ci sia la dose giusta di musica giusta. E il tuo amichevole Shoegaze Blog di quartiere è come sempre qui per servirti.

Blankenberge, Right now. Tornano i russi Blankenberge, senza dubbio tra i gruppi più amati da questo sito, tant’è che il loro Radiogaze è stato il primo album di cui si è occupato Shoegaze Blog. Ecco, Right now è il nuovo singolo. Per il quale non ci sono molte parole: è un capolavoro. Teniamoci pronti, allora, perché dai Blankenberge potrebbe arrivare il possibile disco dell’anno.

Deafcult, Distance. Anche gli australiani Deafcult sono tra i prediletti di questo sito.  Il nuovo singolo Distance li riporta in pista esattamente come li ricordavo: con quella potenza e quella compiutezza sonora che cerco sempre in un pezzo shoegaze. Il brano è una cover di una canzone del gruppo punk Gifthorse: all’originale i Deafcult aggiungono distorsioni, armonizzazioni, emotività. (AGGIORNAMENTO: la canzone è sparita da Bandcamp, peccato)

Twin Drugs, Hi pressure.  Un suono che è praticamente uno e trino: è shoegaze, è noise, è post punk. Gli americani Twin Drugs mettono subito in chiaro che, per loro, tirare al massimo con una musica che è 100% dinamica+200% impatto è una questione dannatamente seria. Hai chiesto rumore, ora ottieni tempesta: la prima bomba del 2019.

Swervedriver, Future ruins. I maestri tornano e tu resta qui ad ascoltare la lezione. Loro probabilmente nemmeno parlerebbero di shoegaze, forse anche a ragione, visto che ci si trova davanti a un suono che attacca e che fugge, che brilla e che si incupisce, che consola e che scuote. Rock, insomma. Ma alla maniera nostra. Cioè loro. Dunque shoegaze.

Lay, Lay. Di questa band si era già parlato in occasione di Chiaroscuro, la compilation italogaze uscita lo scorso anno (l’hai scaricata-ascoltata-amata-consigliata, vero?). I Lay tornano con un ep di indie rock svelto, tagliente e sbarazzino, che non vuol dire leggerino-frivolo-superfluo, ma fresco, agile, sincero. E anche un po’ velenoso. Perfetto.

Waste My Life Away, Adversity. Questo progetto tedesco cerca ispirazione negli abissi neri del post punk più gelido e ossessivo: Adversity porta il fuoco dentro arrangiamenti freddissimi e porta un pizzico di malinconia synth pop persino laddove le canzoni dispiegano tutta la loro furia nichilista.