Lunedì shoegaze. Qualità > quantità

Rosewilder

Torniamo con la consueta rubrica del lunedì, che prevede come sempre dischi belli o bellissimi, mai mediocri né scontati. Perché Shoegaze Blog, da sempre, è solo e soltanto per la qualità (e non la quantità. E i tre nomi di questa settimana sono destinati probabilmente a lasciare un segno importante in questa annata appena iniziata. Sul serio.

Witchrat, Witchrat

Sommando Codeine più Duster più Hum (o forse Melvins), il risultato non è tanto distante da questo disco eponimo degli statunitensi Witchrat. Il buco nero della musica anni Novanta riapre nuovi squarci nei nostri cuori. E anche se non è un suono strettamente shoegaze che importa: il feeling è quello lì, non si scappa.

Rosewilder, Memories from some other time

Il primo grande disco del 2023 viene da questo quartetto da Jacksonville, Florida. Con Understand, la traccia d’apertura, sembra di sentire degli Slow Crush ma con un pathos se possibile ancora maggiore. La super coinvolgente Bad timing è una versione tarantolata dei Nothing: dal vivo serviranno le guardie svizzere per tenere a bada il pogo sotto il palco. Marziale e commovente la ballata distorta Innocence. I Rosewilder sono bravissimi: fossi in loro, però, eviterei di esagerare con gli intermezzi strumentali che sembrano messi lì solo per aumentare il numero delle tracce.

Cosmopaark, And I can’t breathe enough

Dalla Francia, i Cosmopaark fanno zig zag tra dream pop e shoegaze, con un’eleganza che è propria di chi sa esattamente ciò che vuole ottenere con i propri strumenti. La nichilista Suffucating, per esempio, è il riassunto perfetto: un lento crescendo che nasce psichedelia senza spigoli ma con contorni sfalsati e poi esplode in una cascata di distorsioni impenetrabili e definitive. Far si inoltra con maturità nel filone Whirr – ma qui c’è una raffinatezza chitarristica che predilige la dinamica armonica all’impatto brutale – e Can’t wait parte con la classica citazione vibrata alla MBV, salvo costruirci attorno un’indie rock più sbarazzino e meno autoindulgente. E il ritornello alla New Order di Big Boy fa scattare il batticuore giusto. Bell’album.