L’artista senza volto Parannoul, dalla Corea del Sud, torna a farsi sentire dopo aver pubblicato, un paio d’anni fa, un album che ha reso lo shoegaze lo-fi da cameretta un genere nuovamente – o finalmente – degno di considerazione a livello di critica mainstream, con Pitchfork che ha tirato fuori una votazione stellare dando il via libera a un fenomeno mediatico dalle proporzioni inimmaginabili. Personalmente quel disco mi era piaciuto ma non mi aveva conquistato. Con After the magic Parannoul espande a dismisura le sue possibilità soniche, sia pur rimanendo ben ancorato ai suoi due ingredienti preferiti: tristezza e deflagrazioni, ovvero gli elementi primari di tutta – o quasi – la produzione shoegaze asiatica. Parannoul dunque tira fuori canzoni mediamente lunghe che, come traghetti, sembrano collegare le intemperanze dei Whirr e le sinfonie dei Sigur Rós. Arrival è il prototipo della formula che caratterizza la cifra stilistica dell’artista, che tende a dilungarsi anche laddove non sarebbe necessario farlo, lasciandosi prendere un po’ troppo dal suo flusso creativo: il risultato è che una potenziale hit di indie rock pronti-via finisce per disperdersi in una sorta di divagazione prog che allarga le ambizioni ma forse diluisce l’intensità. Meglio We shine at night in tal senso. Imagination, invece, è perfetta così com’è: si sente Parannoul alle prese con un suono dritto e ben focalizzato, con una coda che è finalmente irruenza, istinto ed empatia e un minutaggio che garantisce tenuta e tensione. Anche Blossom è costruita bene, con una classicità post rock che gira senza problemi, sia pure con un pizzico di esagerazione di troppo (giusto quel minutino in meno e avrebbe sbancato).
L’horror vacui
Parannoul ha un talento innegabile, ma sembra avere l’ansia di voler dire mille cose in una volta sola, come se temesse di non avere altre possibilità per farlo. È una sensazione comprensibile, un horror vacui comune a chiunque abbia scritto canzoni con la consapevolezza di ritrovarsi nelle condizioni peggiori: se sei fuori dai giri che contano, rischi di vedere i tuoi brani – che sono letteralmente la tua vita – spegnersi in un oblio senza vie di fuga. Dunque metti dentro tutto, perché il tempo è poco e l’emozione da condividere è troppa. Non so se è anche il caso di Parannoul, ma il sospetto c’è. After the magic è un buon disco, però – ehi – certe volte less is more non è un luogo comune, bensì un consiglio d’amico.