All’epoca dell’uscita di Mellon Collie, Billy Corgan spiegò per quale motivo era così importante per lui registrare questo disco prima di compiere trent’anni: «Perché posso restare ancora in contatto e in comunicazione con il cuore adolescente. Non so per quanto tempo ne sarò ancora capace. I limiti di età dei musicisti rock sono stati alzati ma non so quanti di quei gruppi di ultraquarantenni scuotano davvero la gente». È un concetto secondo me facilmente confutabile – basti pensare a ciò che ha fatto Bowie – ma al quale ultimamente penso spesso, perché ciò che diceva Corgan finisce per riguardare non soltanto chi suona, ma anche chi ascolta. Ho superato i quarant’anni e sono qui a chiedermi: posso davvero ritenermi un interlocutore di chi è nella tempesta – emotiva, politica, sociale – dei vent’anni e trova nella musica la grammatica ideale per esprimere la propria inquietudine? Per dire: i belgi Haunted Youth con il post punk generazionale di questo album molto bello, Dawn of the freak, mi invitano alla loro festa o mi lasciano fuori dalla porta? Io non posso fare a meno di ritrovare tracce di me stesso quando sento quella frase, «Always wanted something more», che irrompe come un flash nell’oscurità di Teen rebel, un classico istantaneo alla DIIV. Oppure nella definitiva I feel like shit and I wanna die – titolo alla Kurt Cobain – si sente questo verso: «I feel like nothing ever goes my way», una verità in un sussurro, il riassunto del 2022 che prosegue il gioco al ribasso di questo decennio già frantumato. E allora diventa chiaro che lo spleen non è una questione di carta d’identità. Lo spleen è una cosa seria che riguarda chiunque. Un album, insomma, per chiudere l’anno con un evidente e contagioso ottimismo. Prosit, shoegazer.
The Haunted Youth, “Dawn of the freak”. Il riassunto del 2022
