Almeno una volta nella vita dovresti andare a vedere un concerto dei Beach House

Foto: Ilaria Sponda

Dublino, 21 maggio 2022. Mancano due ore all’inizio del concerto e fuori dal National Stadium c’è già una piccola e vibrante coda. C’è chi si vuole assicurare i posti sotto il palco, chi vuole sentire l’apertura dei White Flowers e chi invece si vuole godere tutta la magia di un concerto tanto atteso dall’inizio alla fine. Il parterre della venue è immerso tra fumo e luci verde-blu. Non ricordavo la sensazione di quando si va a un grande concerto (grande relativamente al nostro contesto di nicchia). Quando i White Flowers, duo inglese formato da Joey Cobb e Katie Drew entrano in scena, l’atmosfera cala in un’altra dimensione, in un tempo-spazio indefinito, lontano forse nel passato, negli anni Ottanta, o nel futuribile ma già concreto metaverso. Chitarra elettrica e synth si fondono con la voce di Katie, che si sfalda e ricompone di continuo in un loop ipnotico.

Un flashback immenso

Fa un certo effetto rivedere dopo un lungo periodo una band a cui si è affezionati. La prima volta che vidi i Beach House avevo 19 anni. Era l’estate del 2017 ed ero andata da sola da Milano a Sestri Levante per sentirli suonare alla Baia del Silenzio. Avevo appena finito il liceo, la maturità, gli anni di buio e trasformazione violenta. Andare a un concerto da sola fuori dalla mia città lo sentivo come una sorta di ribellione, un taglio netto con la vita da liceale in un contesto che mi andava più che stretto. Tutta un’altra vita, altre emozioni, altre convinzioni. Inevitabilmente, non appena i Beach House si approcciano ai loro strumenti, vengo travolta da questo flashback immenso. È disarmante la capacità della musica di riportarti indietro nel tempo in modo così vivido.

(Foto di Ilaria Sponda)

Una festa dream pop

Victoria Legrand, Alex Scally e James Barone, il batterista che li sta seguendo in tour, sembrano usciti da un film di quarant’anni fa, vestiti di nero e con giacche in pelle lucida. Sembra davvero di essere in una dimensione atemporale, dove il passato e il futuro si mischiano, come avevano anticipato i White Flowers. L’unica temporalità che conta, però, è quella della musica che scorre e si succede, tra brani tratti da Once Twice Melody (2022), 7 (2018), Depression Cherry (2015), Bloom (2012) e Teen Dream (2010). PPP e Myth sono state un tuffo al cuore. Dal vivo hanno tutta un’altra tridimensionalità, un po’ per le batterie più padrone del campo e perché live i Beach House spaccano davvero. Le emozioni di anni fa si incontrano con quelle di adesso, fondendosi. Victoria ha una presenza scenica inimitabile, nonostante la staticità del synth. La sua voce calda e profonda, a tratti androgina, avvolge e ipnotizza, trascina in un thriller romantico senza trama precisa. Un labirinto di suoni eterei e terrestri si fa spazio tra le menti e i corpi di noi partecipanti alla festa dream pop più attesa dell’anno. E parliamo di una festa corredata di luci pazzesche e proiezioni eleganti e immersive. Se Shoegaze Blog dovesse stilare una classifica dei top live dell’anno, questo sarebbe sicuramente tra i primi.

La vera musica è quella che fa appassionare

È sottile la linea che differenzia questo concerto da quei concerti pop che riempiono i grandi stadi d’estate. Sottile eppure abissale. Anche il dream pop è un culto fatto di idoli, frasi cantate ripetutamente e impresse nella vita e nella mente di fan introversi ma neanche troppo. Però i Beach House non si interessano di tendenze e di viralità. A loro interessa fare musica come l’hanno sempre fatta, in modo impeccabile e vero. Il dream pop con la “d” maiuscola è quello che fa appassionare non solo i fan, ma gli artisti prima di tutto. E la loro passione traspare senza mezze misure. Il concerto finisce con Over and over, un lungo addio, un sogno bellissimo che sta per essere interrotto forse troppo presto.