Lunedì shoegaze. Chi ha raccolto l’eredità del grunge

Her New Knife

Negli anni Novanta il grunge e lo shoegaze si trovavano su fronti opposti: a Seattle e dintorni il rumore era essenzialmente dramma autobiografico, mentre il frastuono di Ride, My Bloody Valentine e Slowdive era semmai timidezza ad alto volume. Oggi sembra che le cose siano diverse: se la scena alternative non ha avuto successori, quella shoegaze ha invece ricostruito il proprio mito partendo dalle ceneri della prima ondata e dando anche dare asilo politico a chi riteneva che il rock fosse morto con Kurt Cobain.

Her New Knife, Destroza

L’eredità del grunge, ormai è evidente, l’ha raccolta lo shoegaze. La formula magica del nichilismo musicale, ovvero pianissimo + fortissimo, è diventata infatti franchising contundente per molte band della rinascita gaze, dai frontrunner Nothing e DIIV fino a questi nuovi Her New Knife, promettente gruppo statunitense di noise esistenzialista e alienazione pop: «Empty room the whole week, but I still see you around», si sente tra i mormorii di un cantato che esprime con apparente calma piatta certi tumulti interiori che a volte non vanno via nemmeno con la fine della giovinezza. Destroza è un bell’ep da scoprire.

Mellodraw, Southwest melancholy

Si parte con un uragano dream-gaze e una strofa che può raccontare tutta la tua storia in tredici secondi: «Hai mai avuto la sensazione che niente sia cambiato?». È il vecchio dilemma attorno al quale ruota da sempre il rock diverso, quello che ascolti nelle ore un po’ tristi dei viaggi di ritorno, quando ti rendi conto che la festa non è finita come ti aspettavi e davanti a te c’è la solita vita che non ti appartiene. La malinconia dei canadesi Mellodraw, insomma, è probabilmente molto simile alla tua.

Dirty Flowers, Homesick

Dirty Flowers è un progetto nuovissimo (nato nel febbraio di quest’anno) formato da Andrea Bottaro e Thomas Lee, due ragazzi che fanno base a Londra e che nella musica alternano sberle e sospironi. La registrazione a bassa fedeltà rischia però di creare uno scarto importante tra obiettivi e risultati. C’è infatti lo-fi e lo-fi: quello che compensa benissimo la mancanza di rotondità e profondità sonora puntando tutto su chitarre bruciate e attitudine corsara, e quello che aspira alla grandeur ma deve accontentarsi della real politik. I Dirty Flowers stanno esattamente a metà: l’attitudine lo-fi è sincera e apprezzabile e il talento c’è, ma le tracce così come sono state incise sembrano delle pistole che sparano a salve: fanno un po’ di rumore senza colpire davvero. Ed è un peccato perché non sono niente male. Ascoltate dunque il vostro amichevole Shoegaze Blog di quartiere e registrate questi pezzi come dio comanda. Ne varrà la pena.

Lombraless, Lasqueira vibes

L’atmosfera del bel brano che dà il titolo al disco è un richiamo evidente a Loomer dei My Bloody Valentine: quell’equilibrio impossibile tra catarsi e ipnosi trova una sua nuova rappresentazione grazie a questa band brasiliana che ama il fuzz e adora gli anni d’oro dell’indie rock. Così ecco una sequenza di canzoni che unisce la psichedelia densa alla Siamese dream (O sol que bate em nós) e gli assoli alla Dinosaur Jr. (Apenas faz), infiocchettando il tutto con testi cantati in portoghese.