Quella volta che Billy Corgan fece un disco shoegaze

Probabilmente, l’unica ad essere andata abbastanza vicina nel ritrarre Billy Corgan è stata proprio Courtney Love, che del leader degli Smashing Pumpkins nel corso degli anni è stata fidanzata, amica, nemica, collega, rivale. Nel 1994 la cantante delle Hole disse: “È uno senza volto, non ha un posto. È convinto che diventerà come Roger Waters e probabilmente ci riuscirà. Ma se metti insieme Stone Temple Pilots, Alice In Chains, Soundgarden e Smashing Pumpkins, Billy è l’unico che sappia scrivere una canzone orecchiabile. Ciò che lo deprime è il fatto di non avere uno spessore culturale”. Su quest’ultimo aspetto non è possibile per me esprimere un’opinione, ovviamente. Però Corgan è uno che non lascia mai indifferenti: amore & odio, o qualcosa del genere. Io per esempio sono cresciuto con le – splendide – parole delle sue canzoni, ma c’è anche chi lo ha ritenuto uno scrittore di testi quantomeno rozzo e approssimativo: è il caso della recensione di Mellon Collie fatta da Rolling Stone nel ’95. Peraltro ho sempre trovato estremamente curioso il voto che la rivista statunitense diede al disco: quelle tre stelline gettate lì per decretare una sufficienza che di solito si dà agli svogliati, ai volenterosi o ai ruffiani. Sinceramente, pur con tutti i suoi possibili difetti, pare difficile che Corgan rientri in una di quelle tre categorie.

La musica pop

Nel 1995 Corgan diventa comunque il boss del rock’n’roll. Ma non durerà a lungo, perché nel ’98 succede qualcosa che segna il punto di non ritorno nella carriera fino a quel momento inarrestabile degli Smashing Pumpkins: “Riviste come Spin e Rolling Stone iniziarono a celebrare la musica pop come se fosse paragonabile a quella alternativa o comunque più creativa”, ha detto in tempi più recenti Corgan. La data del 1998 non è un caso: quell’anno esce Adore, un disco bellissimo ma completamente diverso da ciò che avevano rappresentavano fino a quel momento i Pumpkins. La pessima accoglienza ricevuta dall’album porta allo scisma definitivo tra Corgan e la critica musicale. Adore ricevette recensioni di merda. Venne trattato come se fosse un fottuto cancro nella mia carriera musicale”, ha raccontato Corgan. Lo sgretolamento del mito avviene però con un altro album, che a differenza di Adore non ha mai conosciuto una rivalutazione postuma – anzi, è totalmente scomparso dalla circolazione: TheFutureEmbrace, l’esordio da solista di Billy Corgan. Esce nel 2005, ha Robert Smith come ospite di lusso, è il suo primo vero album tendente allo shoegaze, dopo anni di ammiccamenti più o meno occulti. Che cosa potrebbe mai andare storto, dunque? Beh, tutto: le recensioni lo annientano quasi all’unanimità.  

Impersonale e miope

La cosa più carina che scrive Pop Matters, per esempio, è che l’album “è impersonale e miope”. In Italia, Stefano Solventi (che è uno dei miei giornalisti musicali preferiti per la lucidità d’analisi e la scrittura superiore) chiude così il suo articolo per SentireAscoltare: “No, non è un disco da buttare, è un disco che si macchia di un peccato madornale: per non rischiare le velleità precedenti, si limita ad essere quasi inutile. Educato all’inutile. È un punto di vista interessante perché, in effetti, è innegabile che TheFutureEmbrace sia tutto l’opposto di quello che è stata fino a quel momento la carriera di Corgan. Manca la grandeur, quella cioè che aveva spinto il musicista statunitense a tentare il corpo a corpo con i Pink Floyd più che con i Nirvana: stavolta invece abbiamo un Corgan a mani nude che sembra già pronto alla sassaiola per via di un album evidentemente minore, che nelle arene frequentate dai Pumpkins – le grandi folle si annoiano di fronte alle mezze misure – non avrebbe mai trovato ragione d’essere. Secondo aspetto: manca la stupore. Al contrario, c’è la perplessità di ascoltare un Corgan mai così omogeneo dal punto di vista delle sonorità. Tre: il singolo Walking shade, scelto per presentare l’album, è il meno a fuoco dell’intera scaletta.

Bistrattato, indifeso, imperfetto

Eppure, devo ammettere di aver amato immediatamente quel disco così bistrattato, indifeso e imperfetto. Sarà che ci sento un artista sincero in termini assoluti: sono canzoni synth pop e shoegaze che Corgan canta con una voce sempre meno nauseata, come se non fosse più il tempo della rabbia – hai fatto la tua rivoluzione, hai vinto la tua battaglia – ma della redenzione, o quantomeno del patteggiamento con incubi mai finiti. È vero, nei brani c’è più modernariato che modernità, ma è un aspetto che ha garantito una certa tenuta emozionale nel corso degli anni, con armonie fredde e stratificate che Corgan ha saputo costruire avendo bene in testa l’obiettivo che voleva raggiungere. E poi c’è la chicca, il guizzo imprevedibile che ricorda l’estro di un artista che trova sempre la carta giusta al momento opportuno. La cover di To love somebody dei Bee Gees è come ti ti aspetti che venga fuori da due tipi come Corgan e Robert Smith: inaspettata. Billy l’ha raccontata così all’epoca: (Io e Robert) Abbiamo parlato di fare qualcosa insieme. L’ho chiamato e gli ho detto: «Okay, penso di avere la canzone giusta per te». «È una delle tue?». «No, è una canzone dei Bee Gees». E ci fu questa lunga, meravigliosa pausa sulla linea. Poi, con quell’accento inglese: «I Bee Gees?». Di recente aveva visto un documentario su di loro e ha detto: «Okay, sono aperto a questa possibilità»”. Il risultato è una gelida, straziante e bellissima ballata dream pop che ribalta la versione originale e la tinge di nero con lampi glitter. Oggi TheFutureEmbrace è un disco fantasma, introvabile nei canali tradizionali. Di fatto, è come se questo Corgan stranamente introverso e totalmente shoegaze non fosse mai esistito. A quanto pare nessuno sente la mancanza di quei brani. Un peccato. Non è un capolavoro, ma meriterebbe di essere rivalutato.