Intervista: Felpa. Un giorno impareremo a far pace con noi stessi

Gli attrezzi del mestiere di Felpa

Più che una semplice felpa, quella che indossa Daniele Carretti è una corazza morbida, un mantello totale, uno scudo ergonomico. Il viso sbuca quasi di soppiatto dal cappuccio nero e l’effetto è a metà tra l’imperatore del Ritorno dello jedi e un amico timido che vuole solo essere lasciato un po’ tranquillo. Eppure Daniele è tutt’altro che timido. Semmai sembra un uomo che ha imparato a dare del tu alla malinconia e soprattutto a non farsi sopraffare da certi momenti neri che accompagnano le giornate di chiunque. Il suo progetto solista Felpa diventa dunque un personalissimo modo di raccontarsi senza filtri né remore, con voce sottile eppure chiara. Tregua, il nuovo album, è un gioiello dream pop, e che questa non sembri una frase fatta: è davvero così. Un po’ Cocteau Twins, un po’ tradizione cantautorale italiana, questo disco viaggia a un passo dall’inverno pure adesso che la primavera è dietro la porta, il freddo comincia a ritirarsi, il sole riprende il suo ruolo da protagonista e il cielo è un palcoscenico brillante e infinito. Ma certi sentimenti non vanno via così facilmente. Restano lì e devi imparare a farci i conti.

 

Daniele, recentemente gli Slowdive si sono esibiti a Bologna e Milano. Hai visto entrambi i concerti? 

“Sì, ero a entrambi i concerti. Li ho sempre visti in festival all’aperto ed ero curioso di sapere come sarebbero stati in un club al chiuso. Dal vivo riescono a trasmettere tantissimo, però devo dire che sono rimasto un po’ deluso dai suoni. Chitarre molto dentro al mix e ritmica in primo piano molto presente. In alcuni brani la mancanza di un muro di chitarre e delay si è fatta sentire parecchio. Credo sia comunque una cosa voluta visto che in entrambe le date i suoni erano così, ma mi sembra molto moderna come scelta e poco adatta alla loro attitudine. Nei concerti all’aperto questa scelta non era così evidente e le chitarre erano proprio dove dovevano essere. Per il resto, loro sono sempre incredibili”.

Nello shoegaze attuale ci si pone domande sbagliate, tipo: Che pedalini usa Kevin Shields?

Segui la scena shoegaze attuale? Secondo te ha senso parlare di movimento in crescita? Oppure alla fine in giro si parla solo di My Bloody Valentine, Slowdive, Ride?

“Ho sempre seguito la scena shoegaze e ho trovato molto interessante il movimento attorno a certe etichette americane di inizi 2000, quando nessuno o quasi si ricordava di questo genere. Negli ultimi anni noto una fortissima rinascita del genere e ne sono felicissimo, ci sono molte band contemporanee che meritano e che negli ultimi anni sono cresciute parecchio. Ride, Slowdive e My Bloody Valentine sono chiaramente i primi nomi che ci vengono in mente, ma non gli unici di cui si parla. Il problema però è che molti gruppi shoegaze moderni sono fotocopie di quello passato, non ci sono nuove idee e vanno a parare sempre lì e sempre in quei suoni lì con quell’idea lì. Anche se ci sono belle canzoni sotto, quello che fanno non sposta e non fa crescere in nessuna nuova direzione. Poi ci si pone spesso sempre domande sbagliate a mio parere, tipo Che pedalini usa Kevin Shields? e Quanti ampli ha?, oppure Che chitarra suona Neil Halstead? Pochissimi cercano un loro suono e una loro identità, complice anche un mercato e un bacino di ascoltatori che lì rimane, gente che appena uno ci mette un suono diverso storcono il naso”.

Che mi dici del nuovo ep dei Ride?

“Non ho preso neanche l’ultimo disco. Ci ho provato ad ascoltarlo e a farmelo piacere, ma nulla. Li ritengo una buona band di rock britannico in questo momento, ma molto lontani da quello che erano i loro primi due dischi”.

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Un disco bellissimo

Parlando di suoni, in Tregua la chitarra condivide gli spazi con il synth. Come mai questa scelta?

“Non voglio fare sempre lo stesso disco con gli stessi strumenti. Abbandono era più acustico, Paura più elettrico e pieno, Tregua più morbido e dilatato e i synth mi sono serrviti per renderlo tale. Ci saranno sempre più synth e meno chitarre nei lavori futuri di Felpa. Poi magari la chitarra tornerà, ma in questo momento non la sento più come strumento principale per quello che voglio esprimere. Soprattutto vorrei iniziare a togliere più che a mettere, sono più interessato ai silenzi all’interno delle canzoni”.

I fantasmi del passato non ci lasciano mai

Nei testi ci sono richiami al tuo vecchio album, Paura. Quasi che il discorso che imbastisci in questo album fosse un venire a patti con fantasmi che non hanno ancora pace. La Tregua di cui parli che cos’è allora?

“Un momento passeggero che è arrivato e che cercavo invano di fermare. È durato poco, ma è stato piacevole. Avevo poi anche necessità di mettere meno tensione in quello che facevo, ammorbidire il tutto, cambiare un po’ i suoni e portare anche le parole altrove, ma i fantasmi del passato non ci lasciano mai e comunque il filo che tiene uniti i tre dischi è ben presente”.

Come sono le canzoni di Felpa dal vivo?

“Per questione di impatto e comodità suonerò la chitarra usando tanti effetti e avrò dei campioni come basi per supportare il tutto. Spero un giorno di arrivare a una formazione vera e propria per avere dei suoni di sintetizzatori suonati dal vivo”.

Felpa è un artista malinconico. Daniele Carretti invece che persona è?

“Sono una persona malinconica. Felpa racconta quello che vivo nel momento in cui lo vivo. La mia musica è sempre stata proiezione di quello che sono, non saprei fare altrimenti. In Felpa è più presente che nelle cose degli Offlaga perché qui metto me stesso al 100% mentre prima eravamo 3 persone che dovevano equilibrare il proprio essere”.

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La splendida felpa di Felpa

In un periodo di grandi temi sociali che impongono l’agenda alla politica, sembra che ci sia da parte della musica una ritirata dai problemi reali, salvo eccezioni. Questo secondo me ha causato la scomparsa non solo della canzone politica, ma anche della musica introspettiva. Essere tristi è diventato triste e sembra che l’unico impegno della gente sia fare casino. È ovviamente una generalizzazione, ma ritengo che sia una tendenza piuttosto chiara, non solo per quanto riguarda la musica dei grandi numeri. Tu che cosa ne pensi?

“Non sono del tutto d’accordo. In Italia come all’estero la canzone di protesta a mio parere esiste e ha ottimi rappresentanti. Il rap non fa parte dei miei ascolti e quindi lo analizzo da fuori e in parte superficialmente, però ne riconosco un impegno importante, basti pensare a un autore come Ghali. La canzone di protesta oggi assume chiaramente una valenza differente e un modo di esprimersi diverso da quello che era negli anni ’70, non mi aspetto il Guccini di turno, ma non per questo è qualcosa di meno efficace per le nuove generazioni. Si potrebbe parlare della scarsa capacità interpretativa di queste cazoni da parte di una fetta di ascoltatori che si fermano alla melodia orecchiabile o ai richiami modaioli dei testi, ma questo è un altro discorso che sposta l’attenzione verso problematiche culturali che non centrano con il messaggio che il musicista si sente di veicolare e il modo in cui lo fa. L’amore, per dirne uno, credo sia un argomento politico molto importante, del resto parla del rapportarsi con gli altri, del creare legami, del riconoscimento e dei bisogni. Oggi ci sono bellissime canzoni d’amore che fanno riflettere su tante cose e non solo sulla cotta estiva per la vicina o il vicino d’ombrellone”.

Ho capito che la musica è anche divertimento e questo non è meno importante del resto

“Per quanto mi riguarda, con il passare degli anni ho capito che la musica è anche divertimento e svago e la cosa non è meno importante del resto. Anche questo conta e per quanto uno possa essere triste o introspettivo, a un certo momento deve fare i conti anche con quello che lo circonda e che non gli piace, non tanto facendoselo andare bene, ma almeno cercando di capire i meccanismi che lo animano: quindi, cercare di cambiarlo oppure cercare di assimilarlo in base alle proprie aspettative e bisogni. Sto ascoltando tantissimo Cosmo in questo periodo: lui è lontano dalla mia musica, ma lo trovo molto bravo e interessante sia musicalmente che dal punto di vista ricreativo. Credo anche che Calcutta sia un bravissimo autore: pure lui è lontano dai miei ascolti, ma è un cantautore molto interessante anche nei testi. Io poi non riesco a fare musica non pensando a quello che sento e a quello che provo, quindi la faccio soprattutto per me e perché ne sento il bisogno, come mangiare e respirare. Diciamo che non ho ancora imparato a fare la pace con me stesso e quindi la tristezza che sento dentro viene per forza fuori nella musica che faccio. Che poi la voglia rendere pubblica non ne fa necessariamente un prodotto commericale al 100%, nel senso che se i miei dischi vendono e piacciono sono contento, ma se vendono poco e piacciono a poche persone non sarò certo meno orgoglioso di quello che ha fatto. Uscendo allo scoperto però mi confronto con altri e se piaccio entro nell’immaginario di qualcuno: quindi, per tornare all’inizio della risposta, qualsiasi cosa espressa pubblicamente diventa a mio parere un atto politico. Qualsiasi artista fa politica nel momento in cui parla in pubblico dei suoi gusti, delle sue idee, del suo rapporto con gli altri. Perché ci sarà sempre qualcuno che si interesserà alle sue parole e sulla scia della stima nei confronti dell’artista vorrà approfondire le sue idee e i suoi percorsi”.

Dieci anni fa usciva Bachelite degli Offlaga Disco Pax. Che ricordi hai di quel disco e di quel periodo?

Bachelite, come tutto quello fatto con gli Offlaga, mi provoca ricordi che in questo momento è ancora troppo difficile sopportare. Non sono pronto a parlarne lucidamente e fatico ancora molto a riascoltarci”.

Premi play: tre dischi consigliati da Felpa

Cosmo, Cosmotronic. “I suoni e i testi giusti che ho bisogno di ascoltare in questo momento. Una bellissima produzione, molto anni ’90 ma che è molto 2018. Testi che sembrano parlare solo di ballare e divertirsi, ma che invece se li ascolti bene parlano di tutt’altro”.

Alessandro Cortini, Avanti. “Droni dilatatissimi, sintetizzatori senza ritmiche e arpeggiatori. Il disco che avrei voluto fare io in questo momento”.

James Holden & the Animal Spirit, The animal spirit. “Sempre sintetizzatori ma con band vera e propria e uno sfondo etnico e jazzato. Elettronica suonata che sembra quasi improvvisata e buona la prima. Bellissimo”.