Intervista: Chiaroscuro. Distruggendo la nostra stessa musica

Nel dicembre 2023, scrollando il feed di TikTok – ormai uno snodo per le anteprime zoomergaze – mi sono imbattuto in un video di Foreverboymush, Saint Abel e Moskova Div, tre ragazzi di Palermo, Rimini e Napoli con un’evidente propensione per riverberi e distorsioni (chi non lo è, da queste parti?). Quella premessa è stata poi confermata con l’album d’esordio dei Chiaroscuro, un racconto in presa diretta di una giovinezza assordante e assoluta, ma che contiene anche qualcosa che va oltre l’età anagrafica: un sentimento trasversale di malinconia. Il disco, tra Kraus, Neraneve, Slowdive e Whirr, è finito nella nostra classifica finale del 2024.

Nel frattempo i Chiaroscuro sono diventati un quartetto con l’arrivo di Pagu al basso e hanno pubblicato altri due brani, il recente Città invisibili e il recentissimo Piombo, già nella nostra playlist Shoegaze 2025: in entrambi i casi si tratta di shoegaze di impatto e risacca, ma con una produzione più pulita rispetto ai primi pezzi. L’ascolto fa pensare che potrebbe essere proprio questa band a innescare una sorta di effetto Wisp qui in Italia, ovvero lo sdoganamento di un certo tipo di suono presso un pubblico più generalista. Se i fonici non avranno la meglio, ovviamente.

La curiosità attorno alla vostra musica sta crescendo esponenzialmente. Avete la percezione che stia cambiando qualcosa?

Moskova Div (chitarra): «Sto notando un interesse maggiore. In Italia ci sono già state band di culto con cui tra l’altro siamo in contatto, però stiamo proponendo questo genere in maniera un po’ più aggiornata. E dal vivo andiamo oltre la faccenda del fissare le scarpe».

Foreverboymush (chitarra, voce): «Fare un genere che ancora non è stato sdoganato qui è un rischio, ma ci consente di attirare l’attenzione».

I fonici non sanno che cosa fare con noi

Quando suonate in contesti in cui condividete una serata con altri artisti che cosa accade? Vi sentite pesci fuor d’acqua?

Pagu (basso, voce): «A Milano, al Santeria Toscana 31, eravamo più o meno gli unici a non fare indie e la cosa ci è pesata perché i fonici non sapevano che cosa fare con noi».

Merita un approfondimento.

P: «Non riuscivano a gestire i nostri suoni, d’altronde gli altri artisti avevano solo la chitarra acustica o cose così».

Vi hanno mai detto che la voce non si sente?

F: «A volte becchi gente tra il pubblico che dice: “Ma questi che stanno facendo? Non si capiscono le voci, fate troppo bordello, siete troppo punk, non siete nel contesto giusto”. Al Santeria è successa però una cosa particolare. Un tizio, dopo la nostra esibizione in cui avevo anche fatto stage diving, è venuto da me a dirmi: “Mi hai spaccato una costola, ma sei un grande”».

Foto Mirko Jira

Com’è un concerto dei Chiaroscuro?

P: «È quello che non ti aspetteresti se ti limiti ad ascoltare l’album a casa. C’è molta carica, abbiamo parecchia energia e cerchiamo di trasferirla agli altri».

Suggerisci i tappi per le orecchie?

P: «Mi piacerebbe suggerirli, ma finora non è stato possibile suonare ai volumi che vorremmo. Fosse per me metterei al massimo tutto, rovinerei i timpani alle persone. Uno dei miei gruppi preferiti sono gli A Place To Bury Strangers, ci siamo detti che quella è la roba che dobbiamo fare, ma non ce lo consentono».

M: «Diciamo che se vuoi vivere un’esperienza, vieni a un nostro live e prendi tutto quello che abbiamo in testa, compresa la merda. Alla fine ci si diverte, facciamo casino, questo è l’importante».

Saint Abel (synth, voce): «A differenza delle registrazioni, i live sono performance artistiche che non possono essere replicabili. Non facciamo un concerto uguale all’altro: nonostante la scaletta magari sia la stessa, cambiano l’interpretazione, le intenzioni e anche gli errori e si crea qualcosa di unico. Kevin Shields diceva che dal vivo il suo gruppo non riproduceva i brani, li distruggeva. Noi puntiamo a un’esperienza folgorante: distingui a malapena gli elementi, ma ne vieni travolto».

F: «Vorrei davvero che suonassimo come una band intenta a distruggere la propria musica».

A giudicare dalle immagini apocalittiche che girano su Instagram, di sicuro distruggete gli strumenti. In che condizioni sono bassi e chitarre alla fine di un concerto?

P: «In ottime condizioni, tranne la chitarra di Ciccio (Foreverboymush, ndr)».

F: «Gli oggetti sono fatti per essere usati, mi piace rispettare questa regola. Io voglio effettivamente trasmettere qualcosa e mi lascio trasportare fino a non controllare più quello che sto facendo. Mi va bene così, non importa se devo usare i soldi del cachet per portare la chitarra dal liutaio: sono una persona reale, non mi nascondo e non ho paura che la gente pensi che faccio schifo solo perché spacco le cose».

Sicuramente sei il santo protettore dei liutai.

(risate) P: «Ogni volta che facciamo un live, da qualche parte in Italia un liutaio sorride».

M: «E un fonico muore». (risate)

Siete partiti come tre artisti solisti che si sono uniti per qualche canzone, adesso siete una band vera e propria e si è aggiunta Pagu. È difficile trovare un equilibrio?

S: «È difficile. Abbiamo ascolti diversi e percorsi diversi. Inizialmente non c’era l’intenzione di fare un gruppo, poi conoscendoci abbiamo iniziato a bilanciare il tutto. Penso che stiamo facendo qualcosa di originale. Forse ci metteremo un po’ a trovare il tono e il suono giusto, però sul lato songwriting abbiamo una marcia in più rispetto agli altri».

F: «Ognuno di noi potrebbe scrivere canzoni per conto proprio e a volte lo facciamo, però quando creiamo un pezzo c’è uno scambio costante, c’è un apporto creativo da parte di tutti».

Chi è il rompicoglioni fra voi?

(risate) M: «Eccomi».

Tutti d’accordo?

(unanimità)

Sono il nazista delle medie frequenze

Come mai lo sei?

M: «Sono il nazista delle medie frequenze, ma soprattutto sono fissato su un suono preciso, però forse dovrei cercare di aprirmi un po’ di più alle scelte artistiche degli altri. È una cosa che sto iniziando a fare, sono contento di lavorare con i miei amici».

P: «Grazie, solo cose giuste».

Qual è il vostro approccio ai testi? Cercate di più il suono o il messaggio?

S: «Personalmente, ma penso che anche Ciccio sia d’accordo, faccio una collezione di parole ed espressioni che mi piacciono sia come musicalità che per il significato. La retorica e la musica, per me, sono sullo stesso piano, sono entrambe poesia. Non è vero, dunque, che in questo genere il testo non conta nulla».

I due singoli Città invisibili e Piombo vivono di atmosfere estreme, alternando momenti di stasi ad altri di forte pressione sonora. È una formula che suggerisce qualcosa del futuro dei Chiaroscuro?

P: «Il progetto vuole avere suoni diversi e stare su piani differenti, quindi non faremo dei lavori simili fra loro».

S: «Nel breve periodo continueremo sulla scia dei nuovi singoli, per lo meno da un punto di vista di estetica. Si sente che sono due brani che hanno un contesto un pochino più decadente e urbano rispetto a Chiaroscuro, che invece è un non luogo, qualcosa di più etereo».

Piombo è nella playlist editoriale Spotify All New Rock, che è internazionale. Non è scontato, per un pezzo in italiano.

F: «Alcuni pensano alla lingua come a un vincolo. Io no. Passo la maggior parte del tempo ad ascoltare musica da tutto il mondo, per esempio adoro lo shoegaze giapponese. Il suono è importante, il che però non vuol dire non dare valore ai testi, in questo concordo con Tommaso (Saint Abel, ndr)».

L’impressione è che oggi grazie a band come voi, i Mondaze e i Glazyhaze lo shoegaze in Italia sia a tanto così dal trovare un riscontro più ampio rispetto al passato.

S: «All’estero esistono nuove tendenze che derivano dallo shoegaze degli anni Novanta. Per l’Italia si deve fare un discorso a parte, la musica viene spinta da chi effettivamente gestisce il mercato, ci sono poche mosche bianche, ovvero gli artisti tipo Calcutta che fanno cose diverse, e comunque anche loro tendono poi a rientrare nella sfera radiofonica. Non dico che diventeremo come i Julie, che hanno più mezzi a disposizione di noi e sono pure statunitensi, però ritengo che siamo una delle realtà più interessanti in giro, potenzialmente anche a livello globale. Non limiterei insomma i Chiaroscuro, ma nemmeno i Mondaze e i Glazyhaze, al contesto locale».

Che cosa vorreste che la gente pensasse quando si parla di voi?

M: «All’acufene che si sono portati a casa dopo un nostro concerto. Fonico permettendo».