Ho capito il calcio durante i Mondiali di Italia ’90 – mio padre era contento perché con gli azzurri giocava Totò Schillaci – e anche se il gusto menta non era tra i miei preferiti, si sposava benissimo nel ghiacciolo tricolore che quell’estate andava per la maggiore. Non avevo ancora l’età per essere schizzinosa con la musica, mi piaceva la voce rauca di Nannini e Bennato e le chitarre in Un’estate italiana non erano male. In quel periodo ci fu Vladimir, un bambino ucraino ospite del mio vicino di casa, venuto per disintossicarsi da Černobyl’ e il suo desiderio era di essere lui a darmi il primo bacio, ma io ero ancora nel periodo di latenza e ai baci preferivo i ghiaccioli… Quell’anno lì non vincemmo i mondiali, ma nel 1990 i Ride esordirono con il prezioso album Nowhere e debuttarono Slowdive, Mazzy Star, Pale Saints, Lush. Io invece canticchiavo «…Quel sogno che comincia da bambino e che ti porta sempre più lontano. Non è una favola e dagli spogliatoi escono i ragazzi e siamo noi…». E poi si cresce e arrivano i baci e la musica mondiale.
Kick, Setting Tina
Il singolo dei bresciani Kick ce li fa ascoltare in un nuovo stile che si sposa bene con le nostre orecchie fighissime. Parte ritmica semplice, ma con un ottimo basso nato dalla collaborazione di Scott Reeder (Kyuss): sembra la filastrocca di un bimbo saccente e bravo. Cattivissimi e burberi invece i suoni scelti da Nicola Mora, mentre il cantato/sussurrato di Chiara Amalia Bernardini rimprovera dolcemente la società in cui viviamo. Finale pieno di feedback urlanti. Un bel video suggerisce il rifugio nella natura per cancellare ogni inquinamento audiovisivo e sociale. Il fiocco del brano è la preziosa produzione di Marco Fasolo dei Jennifer Gentle e I Hate My Village.
Sky Is Alright, Sky Is Alright
Gli amici Rishi Neal Arora da Londra e Chris Gregory da Los Angeles si sono assembrati sotto il cielo dello shoegaze con il progetto Sky is Alright. L’omonimo album ci porta tra i cieli oscuri già raccontati dagli Smashing Pumpkins in Mellon Collie and the infinite sadness, quindi di nostro sommo gradimento. Sembra quasi un omaggio nostalgico, c’è perfino una dedica alla luna, Indigo moon, con assoli che rimandano proprio ai tempi di infinite e godibili tristezze. Si compone di otto brani cantanti da un’intrigante voce soft – e un po’ inquietante – che segue i riff distorti di chitarra. Sono pezzi che picchiano e accarezzano. Unica ballad semi folk è Sun falls down: qui la voce mi sembra un malizioso incrocio tra Elliott Smith e Nick Drake.
The Suncharms, Liquid through my hands
Una voce amica su melodia e tempi scanzonati e amabili. Dove porta questo tragitto? Alla compilation Something beautiful – A Sunday Records comp che contiene Liquid through my hands, genuino pezzo dei Suncharms: d’altronde la storica band britannica shoegaze è nata alla fine degli anni Ottanta, quando le compilation erano dei tesori analogici da scambiare con gli amici. Ascolto il brano in questione e mi sento al tempo stesso confusa e libera come un paesaggio mosso dal finestrino di un autobus. Che belle strade… che bel ritorno.