“Stay home” degli American Football ci spezza ancora il cuore in questi giorni immobili

A cosa stai pensando, Manfredi? La domanda che mi pone continuamente Facebook non può avere una risposta sincera, specialmente adesso che la quotidianità si è avvitata in un gioco al ribasso che non diverte nessuno. Come potrei quindi raccontarti che cosa sto pensando se non so nemmeno io che cosa pensare. Da settimane cerco di capire se sarà possibile trovare un punto d’atterraggio indolore – spoiler: no – in un mondo che ha spostato il suo baricentro chissà dove. Nel frattempo, a giudicare dalla mia bolla social, la pandemia ha diviso le persone in due categorie: quelli che vedono il bicchiere mezzo pieno – ehi, i panda tornano a procreare! – e quelli che invece vedono non solo il bicchiere ma anche la bottiglia completamente vuota e se potessero la lancerebbero al primo Bill Gates che capita a tiro. Io, che credo nella scienza e non nel mistero, forse rientro in una terza categoria, riassunta perfettamente da un tweet che ho intercettato per caso e che mi ha colpito e affondato.

La fine del mondo

Da ragazzino ero un po’ restio a farmi vedere in giro, a causa del classico difensivismo esistenzialista del secchione: a scuola vinceva il battutista più disumano e io, che tifavo per Philip Callaghan e non certo per Mark Lenders, finivo inevitabilmente per perdere prestigio sociale, restando impantanato nella zona retrocessione delle relazioni umane. Provavo invidia per la maleducazione che rendeva popolari gli stronzi e quindi, non avendo le stesse armi dialettiche, restavo spesso a casa per sentirmi più tranquillo. Oggi che l’isolamento sociale è diventata legge di stato e la fine del mondo è raccontata nelle pagine di cronaca dei giornali, la vita in appartamento ha progressivamente perso il senso che aveva per me trent’anni fa, perché c’è più preoccupazione che consolazione dentro queste pareti.

Insieme nell’isolamento

Gli American Football sono una delle band che ammiro di più. Il primo disco eponimo, uscito nel 1999, ha rappresentato un punto e a capo nella mia crescita musicale e anche personale, soprattutto per la capacità di creare un suono realmente empatico nei confronti di quegli sconfitti a prescindere che nonostante tutto non si arrendono mai. Stay home è il brano più bello di quell’album, un capolavoro di post rock sensibile e minimale, l’inno perfetto delle persone introverse, nonché la colonna sonora inevitabile di queste giornate immobili. Il gruppo ha pubblicato di recente una versione in lockdown di Stay home: questa canzone parla ancora oggi un linguaggio speciale in cui – chissà come mai – la malinconia diventa un sinonimo di speranza e ci fa sentire uniti in questo assurdo isolamento. E il nostro cuore, ancora una volta, si spezza così.

Don’t leave home again if empathy takes energy, ‘cause everyone feels just like you