In a State of Flux vol. 6, Bologna. Tutte le sfumature del riverbero

Clustersun, foto di Ilaria Sponda

Bologna, 17 gennaio 2020. L’In a State of Flux  giunge alla sua sesta edizione, inaugurando un anno particolare in itinere in giro per l’Italia e, girano voci, anche all’estero. Tra il Mikasa e la Limonaia di Fucecchio (Firenze) il 18 gennaio, Shoegaze Blog si fa ancora una volta interprete dell’evento shoegaze più peculiare d’Italia, dove le diverse personalità dei musicisti si uniscono in sinergie sempre più forti e suggestive.

Elizabeth The Second, i rockers del “Fifty Five”

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Energici, espansivi, accattivanti. Canalizzano melodie punk, urla e chitarre incandescenti e crude nei bassifondi inglesi di cui respirano le saturate crepe della quotidianità. Con Soho sfondano il chiacchiericcio di inizio serata, saturando il palco di ritmi pressati. No one cares, primo singolo tratto dal debut EP Two Margaritas at the fifty five (2019) è tanto vintage quanto attuale in tutta la sua impulsività e carica emotiva. Mickey è un’altra perla da tenere in conto, sarà per i suoi effetti di chitarra, sarà per il ritmo ben costruito e pervasivo.

I paesaggi lunari dei We Melt Chocolate

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Tra noise, dream pop e shoegaze i We Melt Chocolate spiccano per le note psichedeliche quasi impercettibili, per la capacità di trascinare chi ascolta in un vortice, in un caleidoscopio di colori forti, acuti, stordenti e ipnotizzanti. Let go è catartica e complessa, pacifica ma nostalgica. Ci si disintegra al cospetto di una musica tanto avvolgente e calda, ma ci si ritrova successivamente nella perfezione della voce di Vanessa, una blue hair girl accarezzata dalla luce lunare del faretto sul palco, proprio come quella dell’omonima canzone che ha chiuso il live di questo magico quintetto.

Stella Diana: il sublime nelle alte maree oceaniche

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L’atmosfera si fa più buia, cupa, trascendentale. Gli Stella Diana emanano sonorità profonde e luminose, sebbene avvolte da un’oscurità non penetrabile dalle percezioni. Orionis ha un ritmo di basso e batteria incastonato su una chitarra esotica e al contempo oceanica, Lurine rae fluttua evanescente ma cangiante, Sulphur emerge invece paesaggi sonori marini e incantati. Parlano per enigmi indescrivibili a parole, interpretabili solo da chi “vorrebbe più colori dalla vita”. Delicatezza e struggimento, immersi in un’alta marea in cui affondare e vogliosi di riemergere in superficie per prendere una boccata d’aria potente come il soffio vitale.

L’energia vulcanica dei Clustersun

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Energia, sono forza e psichedelia pesante. Come speravamo, i Clustersun hanno spoilerato due inediti: Desert daze e All your pain, brani dell’album prossimo alla nascita. Alla ricerca della fragilità nello stridere metallico delle chitarre, questi tre musicisti creano un vortice di muri e fragori. Come titani primordiali incarnano la forza prorompente della musica. Lonely moon è potenza e densità e al contempo morbidezza. “Questi brani sono stati concepiti per essere suonati dal vivo”, aveva affermato il chitarrista Mario Lo Faro in un intervista con Shoegaze Blog di ormai tre anni fa e noi possiamo finalmente confermarlo.

Lo shoegaze è una disposizione d’animo

Se una cosa risulta chiara al termine di ogni Flux, questa è che il termine “shoegaze” vuol dire tutto e niente. La sua essenza è il riverbero, declinato nelle mille sfumature di colore date dalle anime rock degli Elizabeth The Second, oppure dai cupi e introspettivi Stella Diana, dai serrati e virili Clustersun o ancora dagli ammalianti We Melt Chocolate. È una disposizione d’animo più che un’etichetta, un modus vivendi tra le sfumature dell’oggi pieno di crepe e cicatrici. Che colore ha lo shoegaze? Nero, come una notte senza stelle. O magari bianco come nebbia avvolgente. Oppure, più semplicemente, lo shoegaze è ogni colore che si rivela solo grazie al buio.