Playlist: dieci canzoni dream pop da ascoltare in skate al tramonto

Foto di Ilaria Sponda

Ieri, tornando a casa all’ora del tramonto, mi sono fermata di fronte allo skate park che si trova proprio fuori dalla fermata della metro dove scendo abitualmente. A dir la verità, ogni giorno butto l’occhio verso quei ragazzini squinternati che passano i loro pomeriggi a provare kickflips, ollies e altri tricks: è un gesto piccolo che mi riequilibra la giornata.

Mi prendo spesso una pausa nello stesso punto del parchetto e torno con la mente indietro nel tempo e lontano nello spazio: era il mese di agosto, era inverno, ero in Australia. Avevo diciassette anni, un paio scolorito di Vans nere ai piedi e un cappello di lana in testa. Rivedo la ragazzina che ero dirigersi verso il waterfront di Geelong a fianco di K., lui sempre con la sua felpa lunga fino alle ginocchia e con il suo skate usurato dalla pratica e dalla passione. Ecco: quella ragazzina stava per mettersi su uno skate per la prima e ultima volta. Non ho più dimenticato quella sensazione che solo la ricerca consapevole dell’equilibrio sa dare: tra le braccia e sul viso un vento leggero, cangiante e scapigliato. Io sentivo il mio cuore opaco, carnoso e palpitante; il mio sguardo era nudo, vivido e sovrano. 

Ora che non ho più uno skate sotto i piedi, trovo la stessa sensazione in queste dieci canzoni dream pop che ogni giorno (o quasi) mi riequilibrano la giornata, mi fanno correre veloce sull’asfalto milanese libera e leggera. Premete play a questa playlist Spotify da ascoltare al tramonto, sotto un cielo rosa e immersi in una luce dorata

 1. Alcest, La nuit marche avec moi – Tratto dall’album Shelter (2014), questo brano rappresenta l’inizio di un nuovo percorso per Neige, fondatore della band francese: abbandonando il bosco tetro e sanguinolento del metal, si fa strada verso il dream pop più fiabesco e ipnotico che ci sia. Non c’è angoscia nella voce, solo intimo e profondo affetto, come quello della madre che ci ha cullati a lungo nelle notti di incubi e pianti. Risaltano persistenti questa parole finali: “La nuit tombée me rassure / En direction de l’océan” (“Il crepuscolo mi rassicura / Vicino all’oceano“).

2. Hazel English, Never going home. Un tempo fluido e disinvolto, che ben si abbina al rumore delle ruote dello skate sull’asfalto. Sembra di respirare l’aria di Oakland, città natale dell’artista, il sole californiano che racconta il sogno americano. La sua voce è sfuggente, di corsa: la gola brucia, come se fosse assetata di vagabondaggio e volesse trovare la propria strada lontano dal comfort. Sotto pelle un fuoco caldo e confortevole, quello di chi vuole lasciarsi alle spalle un sentimento assopente.

3. Fazerdaze, Lucky girl. Dalla lontana Nuova Zelanda, Amelia Murray ci fa sentire fortunati di ascoltare un pezzo così piccolo, ingenuo ma non per questo debole. C’è tutta la forza di una ragazza che, pur di non perdere l’amato, ammette di avere un cuore duro e di essere fortunata di averlo avuto al suo fianco. Uno sfondo sonoro a tratti graffiante rende la dichiarazione più autentica e il binomio “lucky girl” diviene loop musicale in perfetta sintonia con le corde della chitarra elettrica.

4. Seapony, Where we go. Su una spiaggia di sassi e conchiglie, sotto un cielo di nuvole pastello, l’aria gentile corre invisibile. Dove va? Che cosa sussurra alle orecchie dei giovani innamorati che fissano l’oceano immaginando chissà quale futuro? Seattle, città fantasma dai colori tetri e dai grattacieli mastodontici, non vuole lasciare spazio alle piccole anime libere. È dolce l’aria della sera, il vento accarezza ma porta amarezza, perché dell’amore non c’è certezza.

5. Surf Rock is Dead, As if. Kevin Pariso e Joel Witenberg dipingono un paesaggio sonoro contornato dallo skyline di Brooklin. Giocano nella simultaneità tra isolamento e relazioni genuine (rare). Il brano è caratterizzato da un flow leggero, spensierato ma allo stesso tempo pesante, da cerchio alla testa. Tante domande, nessuna risposta. Quando si è giovani si ha solo bisogno di respirare per uscire dagli ipnotici labirinti mentali. Poi si è pronti per nuove emozioni forti.

6. Turquoise, Mirador. Tratto dal primo EP Turquoise uscito il 15 marzo 2019, il brano ci apre a suoni analogici, chitarre riverberate, parole francesi melanconiche, introspezione ed elettricità. Il quartetto sembra già a fuoco, cresciuti tra le visioni persistenti dei Cocteau Twins e dei Cure. Nonostante ciò non risultano passatisti e ci mettono tanto del loro: il profumo synth pop emanato è fresco come un’onda sulla pancia quando ci si sta per tuffare nel blu del mare.

7. SASAMI, Not the time. Sasami Ashworth, cantautrice americana, ha la voce perfetta da ascoltare all’ombra dell’ultimo raggio accecante della giornata. Chitarrista dei Cherry Glazzer, ha pubblicato il suo album di debutto proprio nel marzo 2019, definendolo come un insieme di note scritte sul proprio cellulare per togliersi un peso emozionale. Se anche fosse, non ci sarebbe nulla di male: è dalla necessità che fiorisce l’arte più vera e duratura.

8. The Marìas, Déjate llevarQuesto quintetto di Los Angeles viaggia su un’estetica legata al vintage psichedelico e lounge, funky e jazz. Trasversali al dream pop propriamente detto, non si discostano molto dal tipico orizzonte sognante. Un tono old-school che ben si abbina a delle sneaker consumate dal sole californiano e dalla salsedine. Non si può che abbandonarsi a un tale sound e allo spagnolo suadente del testo.

9. Desert Ships, Time. Eastern Flow (2019) segna il ritorno della band londinese. Mikey Buckley, Daniel McLean e Claude Trejonis sonoi nomi di questi artisti che si fanno strada verso i paradisi della dreamwave. Il brano proposto è uno di quelli da sentire a passo veloce e sicuro in strade inebrianti e stordenti, col tempo della città che scorre parallelo al nostro incedere ritmato.

10. Blouse, Arrested. Portland fa da sfondo a questo brano, sporco e aggressivo ma al contempo dolce e melodico. Jacob Portrait (bassista degli Unknown Mortal Orchestra) e Charlie Hilton conciliano gli opposti. Si allontanano dagli inizi elettronici dell’album Blouse (2011) e propongono un suono più distorto, quasi da registrazione fatta in un garage, pur con una pedaliera invidiabile. Regalano tutta l’autenticità necessaria a fine giornata, quando si accendono le luci in strada e l’azzurro del cielo sprofonda tra i palazzi all’orizzonte.