Martedì shoegaze. Avere paura di provare qualcosa

Cartwheel

Il classico appuntamento del Lunedì shoegaze si sposta al martedì per evitare il caos del primo aprile, che è la giornata delle fake news legalizzate e del sacrosanto cazzeggio istituzionalizzato: queste band insomma rischiavano di non essere prese sul serio. E invece vanno prese dannatamente sul serio: perché la qualità è molto alta, in qualche caso altissima. Premi play e lasciati incuriosire: garantisce come sempre Shoegaze Blog.

The Empty Sleeps, Good place. Da Adelaide, Australia, gli Empty Sleeps raccontano la loro idea di shoegaze nel modo più semplice e azzeccato possibile: distorsioni rese dense e al tempo stesso impalpabili dai delay, voci che vanno e vengono senza cercare né strofe né ritornelli espliciti. Il suono rallentato e psichedelico funziona. Bello.

Snowball II, Lost in Juarez. Dall’America, questa band fa quello che non sempre si riesce a ottenere quando si parla di shoegaze: un brano cantabile – pensa un po’ – e rumoroso. È un singolone che rispetta praticamente tutte le regole base del genere, ma senza scopiazzare e senza accontentarsi di fare un po’ di baldoria e basta. Notevole.

Berlina, Lucen sombras. La colonna sonora perfetta per un threesome imprevisto arriva da questa band madrilena, che suona come farebbero i Drop Nineteens se fossero nati a Madrid: ovvero, gran baldoria di chitarre e melodie belle toste che fanno da sfondo a linee vocali cantate in spagnolo. Bombetta.

Dead Swords, Enders. Superdistorsioni, superpesantezza, superrabbia, supermalinconia: è tutto portato ai massimi livelli in questo progetto americano di ottimo metalgaze alla Jesu. “Waiting for this all to explode”. E dunque così sia.

Cartwheel, Best days. I giorni migliori di questa band del Kansas passano attraverso un indie pop sbarazzino che attraversa le increspature chitarristiche di shoegaze e derivati. “We’re so afraid to feel anything, but feeling is what makes life full.”. E come fai allora a non rivederti in brani così?

Circus Trees, Sakura. Ecco come si presentano sul loro Bandcamp: “We make music that doesn’t fit with our age, our gender, our living conditions; we are young, we are sisters”. Hanno dimenticato di scrivere che fanno ottima musica: semplice e contorta al tempo stesso, con una scrittura cantautorale – drammatica e definitiva – e sfuriate improvvise di chitarre tra shoegaze e post rock. Difficile trovare una collocazione precisa per questi pezzi ed è meglio così. Queste tre adolescenti sono una bella sorpresa.