Il cielo è notte
Le luci sull’A51 sono rotte
Come cristalli lanciati
Su muri scrostati e bruciati.
Come senza meta in un oceano di acqua e cielo, nuvole e onde, eppure in strada a contemplare l’oscurità di una notte invernale senza nebbia. Cerco il buio, soprattutto ora che le luci presso il guardrail si infrangono sui vetri e sono troppo fredde per farmi sentire a mio agio. Decido di ascoltare l’album Guilty of everything dei Nothing per innalzare un muro scuro o una scala diretta verso le stelle che intravedo sebbene avvolte in un’aura di smog viola e alieno.
La linearità di Hymn to the pillory è un ottimo inizio, basato su un giro di chitarra semplice e una voce dopotutto terrena. Una volta entrati nel vivo del brano e assaporate tutte le sue componenti ci si inizia a sentire estremamente isolati e lontani da casa. Le sonorità complesse di Dig e Bent nail costringono ad alzare il volume. Loop e distorsioni profonde non lasciano scampo e si fanno fantasmi palpabili e rarefatti. Con un lenzuolo addosso sarei io quel fantasma, felice di me e inutile agli altri.

Endlessly mi tiene ancora sotto il lenzuolo soffocante e mi intrappola nei ricordi d’infanzia, tra ginocchia sbucciate e fango sui vestiti, quando erano i jeans o la maglia a sporcarsi e non l’anima. Dopo aver viaggiato tra le stelle con Somersault ed essermi persa nelle luci della strada e della città, torno a respirare con Get well, una fresca accelerata tra inquietudini e relazioni perdute descritte da riff alt-rock di fine anni Novanta.
Beat around the bush invoca a una doccia fredda di impurità, come se non ci fosse salvezza per le anime spente che amano ciò che sembra miele ma si rivela fiele. B&E accompagna malinconicamente verso la fine del viaggio, verso la catartica Guilty of everything, per nulla graffiante, costruita limpidamente e aperta all’assoluzione.
Colpevole di tutto, abbracciata alle tenebre, ora e per almeno altri dieci inverni mi tengo stretta tutto ciò.