Dannata timidezza cronica: ecco perché ascoltiamo lo shoegaze

Ci sono suoni perfetti per incanalare determinati sentimenti e stati d’animo. L’amore nel pop, la rabbia nel punk, la voglia di soldi e sesso nella trap e via discorrendo. Certo, sono classificazioni fatte su grandi numeri e le eccezioni sono presenti in ogni tipo di musica. Partendo da questo presupposto mi sono chiesto: qual è il tema centrale nei brani shoegaze? Qual è il sentimento che sta alla base di un genere che negli anni ha raccolto attorno a sé tanti proseliti timidi e silenziosi, restii a stare al centro dell’attenzione? E così, spulciando tra i testi delle miei canzoni preferite, ho trovato tre esempi perfetti di quello che è per me lo shoegaze.

“Alison ha detto che stiamo affondando, ma lei ride e dice che va bene” (Slowdive, Alison)

“Non so, forse adesso potresti non farmi male. Quando mi sento triste anch’io resto qua, da solo” (My Bloody Valentine, Sometimes)

“Prima sembri così forte, poi svanisci nel nulla” (Ride, Vapour trail)

Ecco, penso che lo shoegaze sia raccontare quelle emozioni che non riusciamo a spiegare a parole. Lo shoegaze è il mondo esterno che viene assorbito sottopelle e implode nello stomaco: ci fa piangere, qualche volta (senza esagerare) ridere, ci spinge a lanciarci nel vuoto o a restare immobili a letto. Sono tutte quelle sensazioni evanescenti che trovano forma in riverberi scomposti. Lo shoegaze è un verso che contraddice l’altro, è bipolarismo, è ammettere di non riuscire a capire quello che si prova, ma avere comunque voglia di raccontarlo per non impazzire. Vi sentite persi e confusi, odiate gli schemi fissi e avete voglia di sentirvi a vostro agio nonostante quella dannata timidezza cronica? Ecco, forse è giunto il momento d’imbracciare una chitarra e suonarla guardando le scarpe.