Lunedì shoegaze: Haiku Garden e altri eroi ed eroine dei suoni distorti

Haiku Garden (foto di Jaka Tersek)

Io sono vestito come uno che ha rinunciato all’illusione di essere giovane da parecchi anni ormai: camicia bianca tondeggiante verso l’ombelico, pantaloni talmente stretti che trasformano le mie cosce in insaccati, scarpe pseudo eleganti con una suola liscia che slitta pure sulla moquette. Mio cugino si veste invece esattamente come ci si aspetterebbe da un diciassettenne: con un mucchio di marche mai sentite prima. Mi parla di artisti trap di cui ignoro totalmente l’esistenza, mi fa ascoltare canzoni piene di riferimenti che non colgo ma che lo esaltano tantissimo, mi fa vedere le sue ultime Instagram Stories piene di adesivi e menzioni. Io cerco di rispondere raccontandogli dello shoegaze, della musica indipendente, dell’ultimo disco dei Low. Mi guarda come se fossi il signor Burns che tenta di entrare all’Hollywood di corso Como a Milano.

Inauguriamo la settimana che ci porta ad Halloween con una serie di dischi di primissima qualità. Ovvero: tanta distorsione, tanta melodia, tanta qualità. Come sempre, garantisce il tuo amichevole Shoegaze Blog di quartiere.

Haiku Garden, Where if not now. Dalla Slovenia, gli Haiku Garden portano il frastuono di My Bloody Valentine e Slowdive in un’altra dimensione: il suono poderoso di questo gruppo eccezionale è infatti una lezione di stile, una sensibilità squisitamente pop al servizio di arrangiamenti enormi e tridimensionali.

Indoor Voices, Gaslight ephemera. Dal Canada, Indoor Voices nasce come progetto casalingo e solitario di Jonathan Relph. Questo nuovo album conferma il talento melodico di Relph, un artista capace di raggiungere la fusione perfetta tra rumore bianco e melodia oscura. I dunno, kid è il piccolo capolavoro di un disco notevole.

Balms, Plane. Nuovo singolo per questa band di San Francisco, un rock teso ma non estremo, quasi un grunge reinterpretato in chiave shoegaze, con una voce pulita che s’incastra perfettamente nel fuoco incrociato di riff e arpeggi.

Ohio MarkShimmers of Darkness in Voids of Happiness. A dispetto del nome, Ohio Mark viene dal Belgio. Questo singolo è una delle robe più toste ed esaltanti che tu possa ascoltare in questo periodo: un suono compatto in cui tutti gli strumenti si fondono l’uno con l’altro, un po’ sullo stile dei Belong. Zero dinamiche, maxi impatto: ottimo.

Did You Die, Royal unicorn. Ancora Canada, ancora shoegaze d’assalto: i Did You Die tirano fuori il disco ultrarock che serve quando bisogna buttare giù le pareti d’indifferenza e di diffidenza che circondano e opprimono le band emergenti. Alza il volume e unisciti a noi, allora.

The Alisons, Thoughtless. Si resta in Canada per questo nuovo album degli Alisons, una band che sembra aver imparato molto bene la lezione dei Ride, ovvero epica pura nelle chitarre e ritornelli in grado di fare la differenza. Chi ama una musica senza pose né giri di parole deve assolutamente ascoltare questo album.

Perfect Body, Fields. Dicono di ispirarsi a My Bloody Valentine e Brian Jonestown Massacre, ma aggiungerei anche Ride, Beatles e Black Angels. Il risultato però non cambia: è un grande pezzo di shoegaze misto a psichedelia, un suono che si espande ascolto dopo ascolto, senza bisogno di sostanze proibite.

Blushing, The truth/Sunshine. Doppio singolo per questa band texana che, beh, sa come si scrive un brano – anzi due – shoegaze. The truth è la traccia potente, quella che trasforma una melodia pop in un assalto rock. Sunshine è l’altra faccia della band, quella dei chiari di luna – a dispetto del titolo – e delle serenate malinconiche.

Sasami, Not the time/Callous. Nel filone di quello che io definisco shoegaze cantautorale si inserisce pienamente la losangelina Sasami, che è brava davvero. Callous è un brano indie-gaze che si chiude con un bellissimo finale sfocato e sfumato, come un attimo di verità che poi non lascia tracce intorno se non nel punto più nascosto del cuore.