Visto che il campo da gioco della conoscenza umana si sta spostando rapidamente dai motori di ricerca all’intelligenza artificiale, ho provato a mettere alla prova la nuova tecnologia sull’argomento che più mi sta a cuore: lo shoegaze. Dunque, ho chiesto a ChatGPT quali sono le migliori band italiane del genere. Il vostro amichevole Shoegaze Blog di quartiere ha già dedicato all’argomento parecchi articoli – la classifica con i dischi più belli dell’italogaze risale a un anno e mezzo fa – ma è interessante fare un test per capire fin dove arriva la conoscenza, l’accuratezza e l’affidabilità della piattaforma di OpenAI. Ho un abbonamento a ChatGPT Plus, dunque ho potuto utilizzare ChatGPT 4o, che è il modello più recente e performante. Ho usato un comando ultra generico, di quelli che solitamente gli esperti di prompt engineering sconsigliano perché la precisione nelle richieste è fondamentale, ma sono convinto che nell’utilizzo di tutti i giorni l’utenza generalista applichi a ChatGPT lo stesso schema applicato a Google, ovvero frasi secche senza troppi puntini sulle i. Dunque, la richiesta è stata semplice: quali sono le migliori band shoegaze italiane? La risposta è stata al tempo stesso azzeccata, inadeguata, enigmatica.

Ci sono Rev Rev Rev, Be Forest, Stella Diana, Electric Floor, Sonic Jesus e, ehm, Clustering. I Clustering? È un nome che non ho mai sentito e la prima cosa che penso è che l’algoritmo intenda i Clustersun, ma la descrizione non coincide con la band catanese. Potrebbe dunque trattarsi di una di quelle che vengono definite “allucinazioni” di ChatGPT: l’algoritmo ha scritto una cosa non vera. Decido quindi di insistere, perché non trovo nulla sui Clustering: né su Google, né su Facebook o Instagram, né su Apple Music o Spotify. Non ci sono tracce nemmeno su Rockit.

La faccenda mi incuriosisce: non sono un’enciclopedia dello shoegaze, ma è strano che mi sia sfuggita una band così. Insisto.

I titoli dei dischi non aiutano la ricerca su Google, non sono seo-friendly. Insisto.

Niente.

Niente.

Alla fine si scopre, forse, il problema. ChatGPT, messo alle strette di fronte a una totale mancanza di fonti, prova a rigirare la frittata e a dire che io potrei essermi confuso con i Clustersun. L’ipotesi più probabile è che davvero il sistema sia stato vittima di allucinazione e abbia fornito delle informazioni inventate, o comunque non del tutto corrette. Questa piccola ricerca ha messo in evidenza i limiti attuali di una piattaforma che tende un po’ troppo a fare quello che facevo io al liceo durante le interrogazioni: parlare a vanvera di qualcosa che si conosce per sentito dire, sperando che chi hai davanti non si accorga di nulla. Facciamo allora un gioco: prova anche tu a interrogare ChatGPT (o Gemini, o Copilot) e condividi, se ti va, le risposte dell’intelligenza artificiale. Buon divertimento!
Epilogo

