Quando chiudiamo gli occhi non vediamo solo nero, ma colori fluo sotto forma di bagliori che il buio non ha assorbito: sono forse galassie, pianeti, costellazioni o asteroidi? I Cloakroom con l’album Dissolution wave, uscito per Relapse Records a fine gennaio 2022, festeggiano il loro decennio di musica. Doyle Martin, chitarrista e cantante del gruppo, per questo progetto ha coinvolto alcuni amici per elaborare il concetto di space rock, facile da immaginare oggi con la memoria psichedelica, bagaglio di ogni musicista sperimentale, ma l’obiettivo posto a Dissolution wave è forse quello di colmare con densità l’etere usando le chitarre e il loro peso gravitazionale. I Cloakroom mentre suonano si accorgono che il trussroad del manico ha un peso gravitazionale, come un’anima extraterrestre: un peso anche esistenziale. Hanno esordito con l’uscita nel 2013 dell’EP Infinity, per poi proseguire con il doppio album Further out e con l’ultimo progetto nel 2017 Time well. In questo spazio temporale il trio dell’Indiana si è inoltrato in varie e dure atmosfere sonore, prima punk e hardcore, poi riff doom-metal e infine un cortese nu-shoegaze come punto di arrivo, al pari di Nothing, Modern Color o Narrow Head. Eccoli adesso, la musica è aperta alla visione dell’Universo, ma i testi un po’ ermetici e un cantato appena folk ridimensionano il tutto alla vita reale, terrena, americana, fatta di lavoro che nobilita l’uomo, che lo regola, lo mantiene e lo fa vivere di gesti tra individui contro altri individui.
Un buco nero

Quando un album viene creato con un suo equilibrio di canzoni che, come pianeti o asteroidi, sono tutte allineate, quando contiene oggetti di suoni non meglio identificati che brillano, allora possiamo essere certi di essere di fronte a un’ottima raccolta. Notevoli già dalla prima traccia Lost meaning con il brutal fuzz chitarristico che crea un muro fittissimo mentre il cantato pare non accorgersi di nulla: il finale è stellare, con una chitarra emarginata nel buio, indisturbata. A Force at play cambia forma nelle variazioni sognanti, ma resta onesta nel suo uso quasi country. Fear of being fixed si attiva con un metal muff, la base giusta per controbilanciare una voce tanto maliconica da essere preghiera supplichevole. Lambspring ha un’interessante ritmo seducente graffiato da corde tese. Doubts è la più yankee anche per il suo assolo di chitarra in tremolo. Dissolution wave è una ballata celestiale di delay con un bellissimo groove. Dissembler è la traccia finale che conclude e si conclude con una sorpresa: un buco nero.
Aprire gli occhi
Nel cosmo cosa resta sospeso? Il meglio che a noi tocca distinguere. L’obiettivo dei Cloakroom è aprire gli occhi sulla reale consistenza della vita umana, una grande ambizione, come se la risposta a tanti nostri pesi di coscienza fossero i concetti molto concreti delle tre dimensioni. Dovremmo imparare a essere in continua evoluzione come i Cloakroom, che sconquassano il panorama shoegaze e che da oggi magari possono essere seguiti anche da voi, amanti del genere.