Playlist. L’autunno è la stagione shoegaze per eccellenza

Ci sono diversi motivi per i quali la stagione più bella di tutte è quella che arriva alla fine. L’autunno infatti rimette a posto ogni cosa che l’estate ha contribuito a sconvolgere: le certezze, le incertezze, i sogni. L’autunno è la comfort zone che ricuce il piano del reale e riporta la tua vita a un presente logico e riconoscibile, che non vuol dire sdoganare la disillusione, ma semplicemente riprendere in mano tutti i progetti che l’estate ti costringe a mollare perché il divertimento non può attendere. D’estate si interpreta un ruolo che non prevede passi falsi né giri a vuoto, mentre in autunno le maschere cadono e finalmente l’introversione è di nuovo depenalizzata. L’autunno, insomma, è la stagione shoegaze per eccellenza: ascolta dunque la nuova playlist Spotify selezionata dal tuo amichevole Shoegaze Blog di quartiere.

1. Kraus, Given. Il sussurro assordante è uno standard dello shoegaze di nuova generazione e il texano Kraus è tra i migliori in assoluto in questa specialità. Given è una canzone in cui le chitarre hanno la densità del magma e il timbro della voce è come un ricordo lontano: impalpabile, confuso, emozionante.

2. Pia Fraus, How fast can you love. A proposito di ricordi: gli estoni Pia Fraus registrano nuovamente le canzoni del loro disco d’esordio Wonder what it’s like in occasione del ventesimo anniversario ed è come se instaurassero un dialogo con quei ragazzi alle prime armi ma già ben consapevoli del percorso da compiere: shoegaze, dream pop e un pizzico di magia. La nuova versione di quell’album s’intitola Now you know it still feels the same ed è un po’ quello che tutti pensano: i dubbi di ieri sono gli stessi di oggi e niente in fondo cambia davvero. Purtroppo ma soprattutto per fortuna.

3. The Besnard Lakes, Superego. Dopo il notevole The Besnard Lakes are the last of the great thunderstorm warnings, uscito lo scorso gennaio, la band canadese torna con un singolo che è un post punk rarefatto al gusto di dream pop: il basso è come un elastico che vibra nel centro esatto della canzone, rispondendo alle sollecitazioni costanti di una vocalità morbida e drammatica. Superego, superbello.

4. Soot Sprite, Alone not lonely. I britannici Soot Sprite li abbiamo raccontati per primi (o quasi) e continuiamo a seguirli con attenzione. Il titolo del nuovo singolo è probabilmente la miglior definizione possibile dello shoegaze. In una strofa si sentono queste parole: «I think I love being alone, I think that comes with being grown». Non sono sicuro che sia sempre così, ma grazie a questo indie rock glassato gaze la cantante Elise Cook sa essere estremamente convincente.

5. Softcult, House of mirrors. La canzone vede le gemelle canadesi Mercedes e Phoenix Arn-Horn creare un gioiellino pop rock che trae forza tanto dal protagonismo delle voci, ben presenti a dettare la linea al pezzo, quanto dall’equilibrio di chitarre mai troppo invadenti ma nemmeno evanescenti.

6. Slow Crush, Swoon. Sempre nella categoria sussurri assordanti rientrano di diritto anche i belgi Slow Crush, tra i nomi più citati negli ultimi anni in campo shoegaze. Swoon li vede nuovamente coinvolti in un suono sbilanciato e arrembante, un punk stratificato e introverso, da ascoltare indifferentemente a volumi bassi o altissimi.

7. Un.Real, Kids are astronauts. Il nuovo disco Islands vede questa band portoricana particolarmente ispirata: il suono è circolare e leggermente sfalsato, un pop muscolare e delicato al tempo stesso che s’intona bene con le giornate più corte d’autunno, quel crepuscolo anticipato che regala nuovi colori alla tua routine.

8. Basement Revolver, Transatlantic. Dal Canada, un dream pop cristallino, svelto di ritmo e leggero di chitarre, ma senza quella furbizia un po’ ruffiana che spesso banalizza gli arrangiamenti per riuscire a piacere a chiunque. I Basement Revolver sono tutt’altro che banali: raffinati, semmai.

9. The Acharis, Jesus thrill. Il singolo dei californiani The Acharis è un crescendo in cui non si può dare nulla per scontato: la partenza sembra una versione synth pop di Cuore matto (ma si sente anche qualcosina del rimbalzo sbarazzino di Sentimental X’s dei Broken Social Scene) e a poco a poco l’arrangiamento va a sbandare sempre più verso un rumorismo imperfetto e, dunque, meraviglioso.

10. Barlow, Shed the light. Bassa fedeltà, alti risultati: gli americani Barlow tirano fuori due minuti di rock lo fi che sembrano spuntare fuori da qualche buco nero aperto sulla prima metà degli anni Novanta. Ma siamo nel 2021 e certi suoni non hanno tempo, non hanno luogo, non hanno regole: tra trent’anni ne vorremo ancora. E ancora.