Due chitarre, una batteria e mille palchi in fiamme: chiedi chi erano i Red Worms’ Farm

Red Worms' Farm (foto: La Tempesta - Facebook)

Di recente ho riletto un’intervista del cazzo che feci ai Red Worms’ Farm parecchi anni fa su Rockit (non metto il link per pudore). Il mio tono arrogantello mi ha lasciato basito: un articolo scritto male perché ideato senza pensarci, con domande surreali che non prevedevano una vera risposta. E dire che il trio padovano è stato uno dei miei gruppi preferiti per lungo tempo. Il primo a parlarmi di loro, nel 2002 circa, è stato il batterista dei Karate, Gavin McCarthy. Al termine di un’intervista – meno imbarazzante dell’altra – realizzata per un sito che oggi non esiste più gli ho chiesto se conoscesse qualche progetto italiano. Lui mi ha spiazzato così: «Certo, ultimamente ho ascoltato gli Zu e i Red Worms’ Farm».

Ecco, i Red Worms’ Farm, o Redworms’farm, o Redwormsfarm. Anche se dal 2001 al 2013 è stato scritto in modi diversi, il significato di questo nome è rimasto sempre uguale: «Two guitars and drums, we always do the same», per citare la rivendicazione contenuta nel primo brano di Amazing!, l’album del 2005. In pratica, la somma esatta che dà come risultato un rito hardcore di palchi in fiamme e polmoni sfondati: un tempo una roba di questo tipo si chiamava indie. Peraltro i Redworms’farm non sono mai stati una band da maggioranza relativa, semmai da attivismo noise rock a livello base: cavetti, corde di chitarra, furgoncini, chilometri, sudore. Sono parole che pesano eccome nella quotidianità di un gruppo e che non dovremmo mai dare per scontate, non solo in questi tempi capovolti ma pure nei giorni normali (quando torneranno): l’arte per l’arte non è un gioco in cui il bottino è garantito. Perciò è bello che La Tempesta abbia ripubblicato in digitale l’intero e introvabile catalogo. I miei album preferiti sono i primi due, Red Worms’ Farm e Troncomorto: tra Fugazi e Sonic Youth, due tesissimi picchiaduro emo/noise – con sprazzi di psichedelia post rock – messi in scena quasi esclusivamente con voci all’attacco, chitarre che smitragliano e una batteria animalesca. Se chiedi chi erano i Redwormsfarm a qualcuno che ha vissuto in diretta la loro epopea, è molto probabile che la risposta sarà questa: «La miglior live band d’Italia».