Solo il nichilismo nomen omen dei Nothing poteva trovare la quadra a un 2020 balordo con un verso che dice tutto in tre parole. “Existence hurts existence”, canta Domenic Palermo in Famine Asylum: e Schopenhauer muto. D’altronde la band statunitense non è mai stata categorizzata come file under: happy ending e Palermo è una persona che ha vissuto una vita davvero precaria lungo i margini più stretti, scuri e taglienti della nostra contemporaneità: se c’è qualcuno che può avere il polso di una situazione assurda e oltre l’ordinario come questa è proprio lui. Pare che Palermo abbia trovato ispirazione per le canzoni fissando la foto di un buco nero, immagine che evoca allo stesso tempo distruzione e cambiamento, opzioni che – a pensarci bene – sono sul tavolo del mondo dall’inizio del 2020. Say less è già un classico istantaneo, un pastone grunge rimescolato new wave: è la traccia che alza il livello del suono chirurgico dei Nothing, mai così pulito e definito pur restando a conti fatti una legnatona che fa sanguinare. La già citata Famine Asylum è il pezzo che Billy Corgan non fa più da oltre venticinque anni: fuzz densissimo, intensità melodica non comune, fragilità esistenziale a presa rapida. April ha ha, che vede la partecipazione vocale di Alex G, è una sorta di lamento funebre shoegaze assordante e a modo suo definitivo (nel video, Palermo e Alex G vanno in giro con i cartelli “The end is near” e “This will never end”). The great dismal è quindi l’album più giusto nell’anno più sbagliato, il disco perfetto per questa lunghissima ed estenuante stagione in lockdown: c’è un pezzetto del vissuto di chiunque in questi brani di alienazione, sconfitta, malinconia e rabbia, quella giusta. Ascoltare l’album a volumi decisi non servirà a far cambiare il corso degli eventi, ma renderà la follia di questi giorni un po’ più sopportabile, un po’ meno atroce, decisamente meno triste.
Nothing, “The great dismal”. L’album più giusto nell’anno più sbagliato
