Ho passato un periodo senza sognare di notte, addormentandomi senza accorgermene, sparendo chissà dove e perdendo le coordinate temporali e spaziali. Al mio risveglio, a guardarmi c’erano gli occhi più belli che io abbia mai amato. È piacevole sentire nel buio della notte il suono ritmico e leggero di un altro respiro accanto a me, così come percepire il silenzio pacificato di un cervello che rinuncia a sognare e a elaborare intrecci mentali pericolosi.
Questa settimana la consueta selezione di piccole e grandi novità. Scommettiamo che ti sorprenderanno? Premi play.
Jake Regan, Unfair//Stay. Dublino è una città dove nascono ambizioni: lì Jake Regan ha lasciato la band Segrasso, di cui era frontman, per dare inizio al proprio progetto solista da polistrumentista e cantante. È già un artista maturo, dotato di buon gusto e dalla capacità di intrecciare giri di chitarra psichedelici e colpi di batteria incisivi. A tutto questo bisogna aggiungere quei riverberi pieni di nostalgia e il sound lo-fi della voce. Sa come colpire e come far esplodere ogni emozione.
Collapse, Endogenic rebirthday. I giapponesi Collapse tornano con un EP dal ritmo sincopato, in cui l’aggressività del noise si pone in dialogo con la fluidità rallentata del dream pop. C’è un equilibrio, un gioco di forze tra toni soffocanti e vocalizzi dolci ed estremamente sospirati. Oblivion è un’apnea, scandita da una narrazione sempre più rallentata e e sovrastata dalla patina di riverberi da cui si riemerge solo alla fine, con solennità.
Czechoslovakia, HVST. In Polonia si torna negli anni Novanta: una band nata tra il 2018 e il 2019 sperimenta il suono della propria lingua natale a contatto col grunge e lo shoegaze, dando vita a un EP di alta qualità, alienazione profonda e toni crudi. Meduza è un estratto dell’album di cui lo stesso frontman Adam Piskorz ha montato il videoclip, girato in un campo da addestramento selvaggio, ruvido e desolato, eppure dai colori caldi e ironicamente giocosi. Resta un buffo mistero quale possa essere il motivo per cui una band polacca si chiami Cecoslovacchia.
Human Colonies, Cloud chaser. Italiano di nascita, questo trio torna con uno shoegaze mastodontico e stratificato, arroventato da fuzz dotati di un sacrosanto tasso di brutalità. Non perdono la ruvidezza che li ha sempre caratterizzati e colpiscono la nostra immaginazione grazie a una melodia che è lontana eppure certa, ipnotica e – oserei dire – psichedelica.
Iris, Slowly, forever. Toronto è il background di questi arrangiamenti punk da cui emergono lampi di leggerezza, tarpati da una batteria. Le chitarre distorte sembrano essere molteplici, intrecciano una trama a più piani che fa perdere l’orientamento e fa affiorare le emozioni più contrastanti. Non ci fosse la voce nostalgica e costante a dirigere il corso degli eventi, ci si troverebbe in un labirinto stupefacente senza alcun punto di riferimento.