Lunedì shoegaze. Tornare a casa dopo tanto tempo

Thumper

Fa un certo effetto tornare in luogo familiare dopo lungo tempo, specialmente se questo è la propria camera da letto di sempre. Ricordo di averla lasciata a metà luglio in ordine in tutta la sua semplicità, vestita della luce dorata del primo ma già torrido mattino. La lasciai con un seme di incerta malinconia: quel viaggio che mi avrebbe tenuta lontana per quasi tre mesi lo aspettavo da tempo con impazienza, ma gli ultimi giorni prima della partenza erano stati agitati da dubbi e paure. Quel piccolo “nido”, comfort zone per eccellenza di tutti i miei sogni, le mie speranze, i miei incubi e le mie illusioni, mi sarebbe mancato oppure no? A posteriori la risposta è chiara e concisa: no. Ora questa stanza mi fa quasi paura in tutta la sua familiarità, specchio di ciò che ero, impolverata dalle mie paure di prima che ancora bisbigliano.

Cè solo un modo per zittirle: alzare il volume delle casse e lasciare spazio alla ruvidezza di suoni scompaginati eppure precisi per i punk introversi come noi. Premete play!

THUMPER, Out of body auto-messageDelivering bubblegum psych through a wall of sonic death”: ecco la promessa di questi sei ragazzi dublinesi. Tre chitarristi, due batteristi e un vocalist, Oisin, sperimentano muovendosi tra campi opposti, tra noise e pop, testi introspettivi e cacofonie, capaci di tirare fuori grinta alla persona più introversa e pacata.

Burning House, AnthropoceneC’è una band a Southampton che crede ancora negli LP, in quegli album lunghi che narrano una storia traccia dopo traccia. Il disco in questione, uscito a luglio, è denso come tutto ciò che è materia ma allo stesso tempo è inafferrabile: l’ipnosi si fa distorta e confusa, le strade eseguibili sono molteplici e non ci si può che divertire nella perdita dei sensi e delle coordinate.

Is Bliss, Strange communicationUn altro debut album questo, chiaramente shoegaze, indubbiamente annoverabile tra i migliori dischi dell’anno, ma se ne riparlerà a tempo debito. Esplosivi e introversi allo stesso tempo, alla maniera degli Oasis. Non manca impetuosità, come mostra What to believe, distorta e riverberata, sfumata e diffusa come una luce morbida e dorata.

Dead Rituals, Dead rituals. Finalmente qualche suono fuori dal coro del trash in questa Italia fossile. Si sente tutta la freschezza di certa musica internazionale, ma anche la stratificata malinconia grattata via dal cemento delle case popolari italiane. Il nostro cuore è un vicolo, soffocato da alti palazzi e liberato da un piccolo spiraglio di cielo azzurro caramella, incasellato tra panni stesi e tetti cocenti.

Twen, Awestruck. Dal Tennessee un duo altalenante tra angoscia anni Ottanta e giochi hippie di pulsazioni e lo-fi. Echi corali e riff strambi creano delle dinamiche sempre familiari eppure nuove e fresche. Honey Smack è una traccia da ascoltare assolutamente: è mielosa e zuccherata come dice il titolo, ma di quella dolcezza leggermente aspra tipica di una donna indipendente che sa come sedurre.