Ho passato le ultime settimane a stretto contatto con la mia ultima produzione in fatto di fotografia artistica. Ho osservato a lungo quelle foto finalmente su carta, materiali, toccabili e vibranti in tutta la loro saturazione. Da una parte io, dall’altra loro. Quando un’opera nasce, diventa figlia del passato e si stenta a riconoscerla come propria. Ma è proprio nel momento di rottura definitiva che si diventa consapevoli del legame in filigrana che non si spezzerà. L’Io si è frammentato e vive nella propria arte.
Un cerchio che si chiude

Così non resta che ammettere che un pezzo di storia si è chiuso e risolto. Poi arriva un album nuovo da ascoltare che non si sapeva di aspettare: Lust For Youth, dell’omonima band di Copenhagen che mi aveva affascinata circa un anno fa, quando mi trovai in solitaria a un loro live, anch’esso inaspettato. Norvvide e Fischer: sono rimasti in due – Rahbek ha lasciato il progetto – eppure non sono mai stati così loro stessi. Pur rimanendo nel flusso della coldwave, si abbandonano a synth freschi dalle sembianze pop, una voce a tratti atonale e una drum machine minimal eppure isterica. Ci viene detto chiaro e tondo: la poliedricità è una cosa di cui andare fieri, è una via da percorrere, sempre.
New balance point, prima traccia dell’album, è dolce-amara: è scandita da un ritmo new wave nostalgico che contraddice la voce acerba, alienante e asettica che l’accompagna e che viene trascinata nelle profondità dai beat industrial. “Is that what the world needs? / Is that really it? / Another local DJ assisting a semi-pro photographer?”. Se è questo ciò che il mondo necessita, bisogna fare la differenza e parlare di intenzioni vere che apportino un valore. Intercorrono dei synth austeri che convivono in armonia con una logica electro pop da club: Insignificant e Venus de Milo sono un flashback rallentato e illuminato da luci stroboscopiche, un ricordo impresso come un’immagine su un negativo. Mi torna alla mente quella notte passata a ballare di fronte a lei, mentre le luci bianche della discoteca la cristallizzavano in movimenti ipnotici e spigolosi, mai uguali e visionari. Great concerns fa da coda a questo binomio di potente suggestione, creando uno spazio bianco tra le immagini mentali che si sono condensate intorno. Sembra che queste tracce siano l’accompagnamento di un film, diverso per ciascuno che ascolta, un sogno lucido mai stato così reale. La brezza di una sera di giugno perfetta insieme col profumo dei gelsomini giocano nella mia stanza mischiandosi alle note angoscianti di Imola e alle parole incomprensibili ondeggianti su una musica che nasconde un mistero inesplicabile. Questa la colonna sonora della fine del mio film. Il sapore di un addio che è in realtà un incerto arrivederci. Ballate riflessive sullo stato del mondo, cantate dalla voce distaccata di Norrvide, che viaggiano su picchi euforici e depressioni soffocanti. Un album coeso eppure labirintico: l’imperativo è perdersi in esso, trovando la propria specifica narrazione.