Le 10 cose che direbbe la sala prove di una band shoegaze se potesse parlare

Pedali Quei pedalini vi guardano.

Al solito: sono il primo ad arrivare. Come se la puntualità non fosse altro che il tranello architettato da Dio per mettere alla prova le persone perbene. La schiena mi fa capire a modo suo – “Senti questa martellata sulla tua gobbetta sinusoidale?” – che era meglio stare a casa a guardare la deriva gomorresca di Un posto al sole anziché portare la Telecaster e la pedaliera a fare una scampagnata in via Lombroso. Sono solo, eppure c’è qualcosa che non quadra. La batteria è in condizioni pietose: ha i tom divaricati in un modo innaturale, il rullante in equilibrio precario, le bacchette per terra come birilli ormai privi di utilità. Sembra stravaccata su un divano invisibile: me l’immagino esausta dopo una maratona shoegaze di livello 10 – un’ora abbondante di You made me realise con tanti saluti ai concetti velleitari di strofa e di ritornello. Accanto, la testata e la cassa del chitarrista sembrano avere l’espressione stanca di chi vorrebbe ascoltare del jazz e si ritrova a dover invece inseguire questi scalmanati che non fanno musica e nemmeno rumore, ma al massimo caciara. Mi avvicino un po’ perché c’è un suono, poco più di un ronzio, che proviene dall’amplificatore. E a un certo punto, ogni elemento della sala comincia a parlare.

1. L’amplificatore della chitarra

“Ti prego, suona un assolo di chitarra. Uno solo”

2. L’altro amplificatore della chitarra

“Eh? Che cosa hai detto?”

3. Il pedale del riverbero

“Guarda che non trasformerai questo garage in una cattedrale”

4. L’amplificatore del basso

“La gente penserà che sto scoreggiando”

5. La batteria

“Questo ritmo è più vecchio dei Jesus and Mary Chain

6. Il pedale del fuzz

“Madonna che mal di pancia che ho”

7. Il microfono

“Ti sarei grato se provassi a cantare davvero, invece di alitarmi in faccia”

8. Il mixer

“Eh? Che cosa hai detto?”

9. La sala

“Tanto lo so che avete iniziato suonando cover di Anouk

10. I tappi per le orecchie

“È tutto qui quello che sapete fare?”

Apro gli occhi. “Dove sono?”. Sono a casa. Sdraiato sul divano. Il computer inonda la mia faccia di luce blu e cuoce a puntino le mie cosce sulle quali è appoggiato. Ho un rivolo di saliva che ha disegnato una sorta di piccolo pene sul cuscino del divano. Guardo l’orologio. Le 9 di sera. “Cazzo, le prove”. Sono in ritardo. Come al solito.

(Questo post è un’opera di fantasia. Ogni riferimento a persone, luoghi, sale prove, amplificatori, batterie, mixer, tappi per le orecchie e fuzz realmente esistenti o esistiti è puramente casuale).