Intervista: Rev Rev Rev e Kool Things Promotions, lo shoegaze come lavoro

Rev Rev Rev

Sebastian Lugli è il chitarrista di una delle band italiane più note nella scena shoegaze internazionale, i Rev Rev Rev. Tanto per capire di che cosa stiamo parlando, Bandcamp ha citato recentemente il gruppo modenese tra i dieci da tenere d’occhio. Assieme alla cantante Laura Iacuzio, Lugli ha fondato qualche tempo fa l’ufficio stampa Kool Things Promotions, incentrato su band dai suoni non allineati. Diventa allora interessante ascoltare la sua storia e capire se lavorare con lo shoegaze e riuscire anche a pagare l’affitto è un obiettivo davvero possibile.

Sebastian, da quanto tempo esiste il tuo ufficio stampa? C’entra qualcosa la canzone Kool Thing dei Sonic Youth?

“Kool Things nasce a marzo di quest’anno e, certo che sì, deve il suo nome alla canzone dei Sonic Youth. Volevamo rendere già dal nome l’idea della linea di demarcazione tra la musica con cui ci interessa lavorare e quella che invece vogliamo evitare. Fino all’ultimo pensavamo di chiamarci Upside Down, come il primo capolavoro dei JaMC, poi è saltata fuori questa idea di Kool Things. Non è necessario essere fan sfegatati dei Sonic Youth o dei JaMC in senso stretto, ci mancherebbe, ma certo se uno si sente lontano da queste sonorità, potremmo non essere l’ufficio stampa adatto”.

Lavorate in ambiti strettamente italiani o vi rivolgete anche a progetti esteri? Come Kool Things che caratteristiche cercate in un gruppo?

“Una delle caratteristiche peculiari di KT è proprio quella di essere “No Borders”, di rifiutare l’idea che un confine geografico/politico possa essere un limite quando si tratta di musica, che è il linguaggio universale per eccellenza. Questa cosa che ti sto dicendo a noi sembra ovvia e banale, ma pare che i nostri concorrenti non siano dello stesso avviso, quindi dobbiamo sottolinearlo. Dunque lavoriamo con band di qualunque parte del mondo: al momento, grazie alla collaborazione stabile con Saint Marie Records, abbiamo molte band statunitensi, ma abbiamo anche clienti britannici, greci, estoni, australiani. E le band vengono appunto promosse in tutto il mondo. Le caratteristiche che cerchiamo sono innanzitutto sonore: lavoriamo con generi come shoegaze, psichedelia, noise e in termini di attitudine diciamo tutta la galassia postpunk. Per farla semplice, potrei dire che un progetto ci deve piacere molto, perché solo promuovendo qualcosa che ami tu per primo puoi ottenere il meglio”.

Chi non si allinea al cosiddetto “indie italiano” difficilmente trova spazio per fare molte date live e di conseguenza i conti non tornano

In Italia lavorare nel mondo della musica non è semplice. Immaginare lo shoegaze come un mestiere che cosa vuol dire, in concreto?

“Kool Things oggi è il nostro lavoro, ovvero quello che ci paga l’affitto per essere chiari, e questo significa che somiglia poco a una passione e tanto a un lavoro. Come è normale che sia. Certe sere quando a mezzanotte sei ancora lì attaccato al pc a rispondere alle email è facile dimenticare che sei nell’ambito della musica… Ma quando vedi che riesci a far passare i gruppi con cui lavori su BBC 6 o su mensili importanti, allora sei felice, più di quando ottieni qualcosa con il tuo gruppo. Tornando al discorso Italia, per noi come ufficio stampa ha un peso relativo, dato che sia i nostri clienti, sia i giornalisti/blogger/dj con cui siamo in contatto sono sparsi per il mondo. Tutt’altro discorso, invece, va fatto se parliamo di vivere di musica come musicisti… Purtroppo l’Italia è un paese tremendamente autoreferenziale: quando si tratta di musica la mentalità dominante (conscia o meno) è prima gli italiani. Quindi chi non si allinea al cosiddetto indie italiano difficilmente trova spazio per fare molte date live, di conseguenza i conti non tornano”.

C’è differenza tra promuovere un gruppo italiano e promuovere una band estera?

No, per noi è la stessa cosa. L’importante è che l’obiettivo della band non sia diventare dei divetti de noantri. La priorità deve essere ottenere credibilità a livello internazionale. Faccio un esempio: un’artista come Lotte Kestner, con cui stiamo lavorando, ha una fan base più ampia di certi gruppi che in Italia vengono trattati come semidei, ma questa fan base non è concentrata in un solo paese e consta di gente attenta alla qualità della proposta musicale, al di là delle mode effimere. Se una band sogna di svortare ed essere riconosciuta per strada mentre va a fare la spesa, liberissimi, ma ci sono altri indirizzi ai quali rivolgersi”.

A Manchester abbiamo visto due signori anziani discutere in un bar dei dischi degli Stone Roses

Come reagisce l’Italia di fronte allo shoegaze? Esiste un pubblico al quale rivolgersi?

“Mi viene in mente un piccolo episodio che però è sintomatico. L’anno scorso eravamo a Manchester con i Rev Rev Rev, stavamo facendo colazione in un bar di periferia e al tavolino accanto a noi c’erano due signori anziani, i classici umarèl che da noi discutono di calcio (o di cantieristica stradale). Ebbene, i due signori si stavano confrontando sugli album degli Stone Roses. Questo per dire che nel Regno Unito generi come shoegaze e dintorni fanno semplicemente parte della cultura popolare, mentre da noi sono una cosa per pochi. Allo stesso modo, in Italia lo shoegazer è visto come un tizio strano, mentre nel resto del pianeta apparirebbero strani quelli che ascoltano certa roba che va per la maggiore quaggiù. Certo, anche in Italia si trova gente con una profondissima cultura musicale. Questo ci tira su il morale non poco, ma purtroppo si tratta sempre di una nicchia. Basta dire che con i Rev Rev Rev più del 99% dei nostri dischi li abbiamo venduti all’estero. E se calcoliamo quelli che hanno venduto le etichette, siamo davvero vicini al 100%”.

Rev Rev Rev dal vivo
Raggi laser e ultrafuzz con i Rev Rev Rev

Come risponde la critica musicale italiana allo shoegaze? E quella estera?

Difficile fare classificazioni, dipende dai paesi, dal tipo di critica e naturalmente dalle sensibilità individuali. Ovunque esistono critici acuti e critici pigri. A priori uno si aspetterebbe che la critica britannica non ne possa più di shoegaze, dopo quasi un trentennio: invece in linea di massima lo apprezzano ancora molto e in media sanno cogliere molto bene gli elementi essenziali di un disco. Ma devo dire che in generale tutti i nostri contatti europei e quelli di America del Nord, America del Sud e Oceania sono sempre sul pezzo. Voglio dire che sanno cosa stanno trattando e hanno un retroterra e un sistema di riferimenti adeguato. Devo dire che le uniche recensioni un po’ grottesche (magari anche positive, ma poco centrate) che abbiamo incontrato sono uscite, ancora una volta, dal bel paese. Ma non vorrei generalizzare: c’è critica di grande qualità anche qui”.

Lo shoegaze è la figura che non ha figura, l’immagine che non ha materia

Mi dareste una definizione di shoegaze? Che cosa vi ha affascinato di questo suono, la prima volta che l’avete ascoltato?

“Non credo che Lao Tzu volesse definire lo shoegaze, ma mi sembra che queste sue parole rendano l’idea: è la figura che non ha figura, l’immagine che non ha materia: è l’indistinto e l’indeterminato. Dello shoegaze mi affascina il suo carattere ipnotico e al contempo potente, sensuale e al contempo etereo, melodico ma vago e inafferrabile. È la voce dei sogni, delle visioni ipnagogiche, anzi è come un livello ulteriore di coscienza oltre la veglia e il sonno. Quando dici shoegaze di default penso ai My Bloody Valentine, si vede?”.

Che cosa non deve mancare mai in una canzone shoegaze?

“Vien da dire l’uso della leva del tremolo, il riverbero e il fuzz. Ma personalmente credo sia importante soprattutto ciò che invece deve mancare…”.

Vista dall’esterno, ovvero da chi non segue tanto la scena, sembra che lo shoegaze nasca e finisca con My Bloody Valentine, Slowdive, Ride. Hai questa stessa sensazione? Il fatto di dover fare ancora i conti con gli eroi di due decenni fa come viene vissuto dalle band contemporanee? È una fonte di ispirazione o è una zavorra che impedisce alla scena di evolversi?

“Senz’altro una fonte di ispirazione. Impossibile vedere come un peso la genialità di questi artisti, i cui dischi, anche dopo decenni, a ogni ascolto continuano a darti qualcosa di più. Poi personalmente ho sempre trovato stupidi i discorsi su seminale e derivativo che spesso si sentono. Kevin Shields ha cambiato per sempre il modo di intendere la chitarra elettrica, ma oggi dire che se suoni in glide imiti Shields è come dire che tutti i chitarristi normali copiano Chuck Berry…”.

Ultimi fiori - per ora - dai Rev Rev Rev
Ultimi fiori – per ora – dai Rev Rev Rev

Come Rev Rev Rev che cosa state facendo in questo momento? È ancora presto per un disco nuovo?

“Siamo in procinto di partire per l’ultimo spezzone del Droning flowers tour: dal 20 ottobre abbiamo quindici date in diciassette giorni tra UK, Francia e Svizzera. Di ritorno abbiamo ancora due date, a Bologna e in Austria, poi ci si concentra sul nuovo lavoro. A dire il vero è già da diversi mesi che butto giù idee e le sviluppo. Posso anticiparti che l’approccio alla canzone è diverso rispetto a Des fleurs magiques bourdonnaient, più verticale che orizzontale: anziché costruire i brani su parti distinte, c’è un lavoro di layer che entrano ed escono. Saranno diverse anche le sonorità, sicuramente più scure. Ma c’è ancora tantissimo lavoro da fare, ne parleremo più avanti”.

Qual è lo stato di salute dell’italogaze?

“L’italogaze va alla grande. È vero, sono di parte, ma quando ascolto dischi come l’ultimo dei Clustersun o degli Stella Diana, oppure vado a un concerto dei Kimono Lights tanto per fare qualche esempio, sento veramente una proposta musicale di grande qualità, curata nel dettaglio e senza niente che non sia perfettamente necessario. Non posso citare tutti, ma nella scena sono in tanti che stanno producendo musica di alto livello. Poi dalle diverse esperienze stanno nascendo prassi, e anche questo è fondamentale per una scena indipendente. Ci sono blog come Shoegaze Blog e Shoegazin’ Your Waves, quest’ultimo adesso anche con la radio (che ho ascoltato l’altra sera e mette musica strepitosa, la consiglio a tutti). C’è il Mutiny Collective, che seppure con tutte le difficoltà del caso organizza eventi di qualità… Non è un caso che anche un blog “di massa” come Rockit abbia citato un paio di dischi della scena tra i più significativi del 2016 in Italia (nel 2017 credo succederà lo stesso e ho in mente un paio di nomi che meritano di essere nel novero) e abbia pubblicato l’anno scorso un piccolo speciale sull’italogaze.

Premi play: otto dischi raccomandati da Kool Things Promotions

Amusement Parks On Fire, Road Eyes (Deluxe Edition)“Negli anni Zero hanno rilanciato queste sonorità shoegaze. Il 17 Novembre torneranno con un 7” dal titolo Our goal to realise, in corrispondenza del loro tour nel Regno Unito, e un ulteriore EP (An Archaea) uscirà nel 2018. Intanto abbiamo lavorato sulla ristampa in edizione deluxe dell’acclamato Road eyes“.

Lotte Kestner, Off White“Dopo avere cantato in Push the button dei Chemical Brothers, Lotte Kestner è tornata sotto i riflettori quando Paolo Sorrentino ha scelto la sua versione di Halo di Beyoncé per una scena di The Young Pope. Questo non è shoegaze, ma è un post rock/folk minimale fatto di delicatissima malinconia e bellezza spettrale”.

Vast Asteroid – S/t. “I Vast Asteroid sono formati dalla ex bassista dei Warlocks Mimi Star, dal batterista della band punk-rock Slaughter And The Dogs Mark Reback, e dal cantante e chitarrista James Poulos. Il loro album di debutto, in uscita il 17 novembre, metterà d’accordo i fan di shoegaze, space rock, britpop, stoner e desert rock”.

Crash City Saints, Are you free?. È una sorta di Quadrophenia dello shoegaze, che racconta la storia (autobiografica) di un ragazzo in una asfittica cittadina della provincia americana nei primi anni Novanta, che trova la sua via di salvezza ascoltando musica di band come My Bloody Valentine, Smashing Pumpkins, Galaxie 500 e tutta la scena Madchester”.

Pia Fraus, Field Ceremony“I Pia Fraus sono veterani dello shoegaze dell’Estonia, i cui brani sono stati in passato remixati da artisti come Teenage Fanclub, Ulrich Schnauss e Airiel. In Field Ceremony ritroviamo la loro personale declinazione del dream pop insieme con elementi di novità e  un suono curatissimo, grazie al missaggio e mastering analogico”.

Azraq Sàhara, Radamenes“La band definisce il proprio sound desert goth. Dall’amalgama emergono forti tratti di psichedelia Barrett-iana. Formati ad Atene (GR) nel 2013 dalla cantautrice Sara D. Satàn, sono ora di base a Manchester”.

Miniatures, Jessamines. “Stratificazioni e ricche trame sonore, melodie trascinanti e voci angeliche, gli australiani Miniatures costruiscono paesaggi sonori che salgono e scendono come le maree oceaniche. Il loro LP di debutto è uscito il 6 ottobre su Saint Marie Records”.

When The Sun Hits, Immersed Within Your Eyes“Con radici che affondano nell’epico e nel trascendente ed un nome evocativo a testimoniarlo, il quintetto shoegaze When The Sun Hits (Nottingham, UK) dà alla luce Immersed within your eyes, un EP di grandi aperture chitarristiche e solide parti vocali”.