Ho sognato di vivere nel mondo di Blade Runner. Facevo parte dei replicanti e la cosa, chissà perché, non mi sconvolgeva. Così come non avevo fatto una piega vedendo un Roy Batty invecchiato e totalmente umano. Ero seduto accanto a lui e le sue parole non erano quelle che mi sarei aspettato di ascoltare: “Io non ho mai visto lo spazio. Non ho mai saputo come passano il tempo le stelle quando la mattina ci scordiamo di loro per rinchiuderci in ufficio. Non ho mai ammirato da vicino le comete mentre accarezzano il respiro del cosmo. Non ho mai affondato le mie mani nella sabbia di Marte, per sentirne la consistenza e trovare un po’ di calore. Non ho mai osservato la luce cinerea di Venere, quel bagliore che pulsa nel cuore del pianeta e non sai se è un avvertimento o un invito. Non ho mai indossato gli anelli di Saturno né ho mai assaggiato l’atmosfera di Titano. Soprattutto, ed è la cosa più triste, in tutta questa mia vita non ho mai provato nostalgia della Terra”.
Dream pop da Alfa Centauri

In un tempo come questo, la malinconia è una colpa e l’arroganza fa curriculum. C’è la dittatura della semplicità, intesa come messaggio diretto e privo di sfumature che la fa sempre facile: risolvere ogni problema eliminando semplicemente ogni pensiero problematico. È qualcosa che sembra trovare orecchie attente anche nel mondo della canzone mainstream, come di solito avviene quando c’è da trattare il cuore come un muscolo che batte solo per le cose inutili. Da questo punto di vista, è una bellissima sorpresa ascoltare dischi come quello dei Parsons Rocket Project. Ci senti tutta la differenza tra chi immagina la musica come un braccio di ferro tra identità e realismo e chi, invece, opta per un concetto puro di arte, che prescinde da ogni aspettativa mediatica. Il disco comincia in modo emozionante: Exit launch è un brano un po’ Mazzy Star e un po’ Slowdive, con quelle chitarre piene di riverberi che si distendono lungo una strada che parte da Atlanta e arriva fino ad Alfa Centauri o giù di lì. Questo album è un continuo alternarsi tra solidità folk e visionarietà dream pop: ci sono gli intermezzi ambient (Interlude I) e le storie d’alta classe pop (Burn), quanto basta per conquistarti subito e accompagnarti nei giorni a venire nel miglior modo possibile.