See Through Dresses, “Horse of the other world”

See Through Dresses, "Horses of the other world" La copertina di "Horses of the other world" dei See Through Dresses

Ho sognato il mio piccolo mondo privato in rivolta contro la logica, la coerenza, la fisica. C’era la mia voce che sfuggiva ai miei pensieri e comunicava con le persone prima che io aprissi bocca: qualcuno faceva finta di niente, altri mi voltavano le spalle, pochi mi tendevano la mano. C’erano tutti i miei errori seduti davanti a me, come fantasmi opachi sottratti alla polvere e alla superstizione: ognuno di loro era un’accusa che non ricordavo di meritare e che ho imparato a riconoscere. C’era un sacco di gente che camminava a testa in giù – e neanche un’emicrania! – cercando il sole dalla parte sbagliata dell’orizzonte. E poi c’eri tu. E tutto – nonostante tutto – aveva di nuovo senso.

Una bellissima disintegrazione pop

See Through Dresses
Lezioni di bon ton dai See Through Dresses

Horse of the other world dei See Through Dresses parte benissimo, come succede a quei dischi che brillano subito, sin dalla prima traccia. Diamonds ti prende e ti porta proprio lì, nel cuore della disintegrazione del pop: i See Through Dresses omaggiano i Cure nel modo migliore, ovvero con un brano bellissimo che apre varchi e riempie i vuoti, una narrazione epica che abbiamo sentito mille volte e che vorremmo risentire per altre mille.

E mille altre volte ancora

È una formula che viene ripetuta con l’altro omaggio implicito a Robert Smith, la splendida Violet: i Cure sono lì, a due note o poco meno, come se sentissimo una Pictures of you ringiovanita di trent’anni, con l’epica di quella canzone tutta da raccontare e la certezza che gli eredi ne faranno l’uso migliore. Shelley è invece una canzone dream pop lievemente malinconica, come quella foto scolorita di voi due così giovani e perfetti: ti prende per mano proprio quando l’estate finisce e i saluti sono maledettamente difficili anche solo da immaginare (“It’s good to see you’re moving on, I’ll see you in fall if that’s all”). Lucy’s arm è shoegaze d’alta gamma, con tutti i pedali a disposizione che scatenano un suono feroce e compatto, in un modo che conferma i meriti e le qualità di un disco ottimo e importante. Per davvero.