Lunedì shoegaze (e dream pop). Agli sgoccioli del mese più torrido

Pool Shop (foto: Bandcamp)

Anche chi si sente di buonumore con l’arrivo dei mesi caldi prima o poi si stanca dei luoghi comuni estivi: le classiche domande scomode su cosa farai a settembre, su dove passerai le vacanze, sul come mai non ti sei abbronzato dopo una settimana al mare (con la conseguente battuta sulla tua pelle chiara);  le lamentele per il caldo; gli apprezzamenti per le città deserte in agosto e così via. Tutte questioni che col tempo appioppano tutti. Ci si stanca delle routine così come dell’estate e con settembre alle porte si ha bisogno di carica. Premi play per entrare in un nuovo flusso energetico.

Emperor Of Ice Cream, No sound ever dies. Colonna sonora malinconica perfetta per la fine dell’estate, l’album di debutto degli irlandesi Emperor Of Ice Cream è da ascoltare ad occhi chiusi. Le distorsioni sono una ricchezza di comica verità e tragicità struggente, che poi sono gli ingredienti base della contemporaneità. “Everyone looks so fine”, canta l’irlandese John “Haggis” Hegarty, come a constatare che nonostante il mondo stia cambiando drasticamente, la gente è banalmente distaccata.

No Joy, Motherhood. No Joy (aka Jasamine White-Gluz) con questo album somma influenze punk ed elettroniche, corde orientaleggianti e loop occidentali. Un’espansione stilisticamente onnivora trascina nell’occhio del trip hop, della trance, del metal, fuori insomma da qualsiasi comfort zone per sperimentare nuovi flussi energetici e trovare la propria frequenza.

Zoongideewin, Bleached wavves. Dal Canada, l’anima chill dello shoegaze si incarna in questo album dall’estetica rétro e pacata, slavata come un sogno al risveglio ma pregnante come un turbamento.

Widowspeak, Plum. Il quinto album della band newyorkese ha un gusto pieno come quello di un frutto maturo, una prugna in questo caso. Il raccolto dopo anni di ricerca: una sinergia tra chitarra e voce, che scaldano per la semplicità delle struttura e la solidità del mood sognante ma non banale.

Pool Shop, A shadow. Dall’Australia, un disco pieno di paesaggi sonori vividi, melodie eteree e una voce evanescente: un dream pop lo-fi senza la paura di spingere troppo verso l’emotività. Ci si perde tra i synth e ci si dimentica che il tempo delle mele è finito da un bel po’.

Moon Attendant, One last summer. In Hot Power (primo singolo tratto dall’album di debutto) i loop vocali alla Kevin Parker si accompagnano a un’elettronica analogica. Tra indie rock, psichedelia e synth pop, i Moon Attendant (che possono contare su Ian McCutcheonMojave 3 / Slowdive – alle percussioni) hanno realizzato un disco che qua e là contiene anche qualche contributo sonoro di Neil Halstead.

Grazer, Grazer. Un’altra novità dall’Australia: un collettivo di quattro artisti di Melbourne con un background in pittura, fotografia e poesia. La loro musica prende anima dalle ceneri dell’indie pop anni Ottanta e viene rinforzato da riff shoegaze malinconici ed eterei, chill e allo stesso impegnati. I synth sono freschi e profondi, non si abbandonano alla superficialità del mezzo per scavare nella memoria visiva di chi ascolta.