Agosto dream pop. Vento d’estate

Winter (foto: Facebook)

Questo tizio che non vedevo dall’inizio del lockdown mi osserva col suo sguardo rapace e malandrino da commedia all’italiana, come se avesse studiato per filo e per segno la sua entrata in scena: “Ehi, ma sei pallidissimo! Prenditi un po’ di sole che sembri la morte in vacanza”, dice mentre ride come l’asino di Shrek, candidandosi già adesso per il premio Capitan Ovvio 2020. D’altronde lo capisco: sono talmente pallido e con gli occhi così cerchiati di grigio che al confronto Boris Johnson sembra tornato da una vacanza a Favignana. A naso, Bilboa non mi prenderà come influencer. Ma l’estate per me è sempre stata così: stagione avversa e matrigna, buonumore a tutti i costi, caldo che lascia schianti di sudore sulla schiena, protezione 50 unico credo, messa al bando delle zone d’ombra. Per fortuna Shoegaze Blog resta l’ultimo bastione di resistenza della milizia pro autunno: ascolta questi gruppi e dai un senso a questo agosto perennemente ostile.

Superocean, When you’re around. Lo chiamano daytime dream pop. La definizione è perfetta, perché le canzoni di questa band di Portland sono leggere – ma non impalpabili – come la brezza del mare quando pattina serena tra la riva e l’orizzonte lasciando una scia di freschezza intorno. È una musica dolce tra psichedelia e pop, tra Tame Impala e Alvvays, tra gioia irrefrenabile e quella piccola tristezza che in fondo ti tiene sempre sul chi va là pure nei giorni senza peso d’agosto.

Winter, Endless space (between you & I). Agosto è il mese più freddo dell’anno, diceva qualcuno, e Samira Winter sembra non tradire ciò che promette sin dal suo cognome. “The doubt kicks in. I don’t want to feel afraid to give the love I have to you”, canta l’artista losangelina: e intanto attorno a lei c’è un gioco dream pop che si fa sottile, romantico, delizioso.

Dehd, Flower of devotion. C’è uno strano fenomeno nell’aria: una sorta di ritorno all’indie così come era stato concepito tra la fine degli anni Zero e l’inizio dei Dieci, come se finalmente ci fosse una depenalizzazione dei riverberi nel pop. I Dehd con il loro secondo, celebratissimo disco, portano a compimento una narrazione dream finalmente alla portata di tutti e non più autoreferenziale.

Remington Super 60, Still near. Dalla Norvegia, questo progetto tira fuori un brano che è nostalgia canaglia ed estate infinita, morbidamente pop nel suo minimalismo raffinato d’altri tempi.

Jostaberry, Mountain song. Un bel cantautorato psichedelico, acido e a briglie sciolte, con armonie che tendono a sovrapporsi fino a sfociare in un finale che sfiora il rumorismo.

Double You, Playing out together. Un synth pop che fa crash con lo shoegaze e il post punk: è una canzone di velluto e nostalgia che s’incastra perfettamente nelle tue giornate agostane fatte di città deserte e amicizie lontane.

Seventeen Years Old And Berlin Wall, Abstract. Nuovo ep per la band giapponese, particolarmente a proprio agio nel rimescolare le carte. Prendi 凍結地 – Frozen place, forse il brano più bello. Inizia flirtando con un pop rock regolare, radiofonico e privo di ombre o di inquietudini: praticamente un punto interrogativo sulla direzione intrapresa dal gruppo. Poi però parte un’inaspettata coda dream che ti porta tra le stelle. Ed è wow.