La fine del mondo al ralenti che pervade questo povero paese immobile si sente sin dal mattino presto, giù in cortile. Due tizi condiscono di testosterone e bestemmie le loro urla fuori controllo. Il motivo? Il cagnetto di uno dei due, responsabile di chissà cosa, viene continuamente additato da un trentenne dalle braccia lunghe e magre come un Tiramolla pronto a scattare. L’altro tizio, cinquant’anni o giù di lì, pare un gorilla vestito da pinguino e allarga la mano come se volesse menare le mosche intorno. La cosa buffa è che i due contendenti sfiorano il corpo a corpo ma non vanno in rotta di collisione perché entrambi rispettano la distanza di un metro, quindi nessuno si fa davvero male. In compenso il più spaventato di tutti è il cane, che sembra capire di aver fatto qualcosa di sbagliato e chiede scusa a modo suo: quel guaito si capisce in tutte le lingue del mondo.
Grow Rich, Frantic semantic. Tralasciando il nome del progetto, che fa pensare a una parodia hip hop, Frantic semantic dell’indonesiano Grow Rich è uno shoegaze virato pop punk con in più una batteria capace di sganassoni ritmici che manco al Gods of Metal. Probabilmente è la musica che serve per scrollare di dosso tutta la paura accumulata in un mese di quarantena. Molto esuberante, niente male.
Ringo Deathstarr, Ringo Deathstarr. Il ritorno dei Ringo Deathstarr è shoegaze sfalsato, emozionale, liquido: è una continua oscillazione di estremi, di distorsione che porta la band al massimo dei giri e di riverberi che stemperano la furia e sfumano l’alienazione. È una psichedelia di spigoli punk e di carezze dream: i Ringo Deathstarr segnano un nuovo standard nel loro rumorismo morbido e destabilizzante. Bomba.
Obscenity Plugs, Mascot. Il singolone Situation ha le oscillazioni gaze dei My Bloody Valentine e la densità chitarristica dei Whirr, tenute insieme da una profondità post punk e da notevoli guizzi quasi grunge che allargano il campo e amplificano le potenzialità di un disco che potrebbe diventare uno dei nostri preferiti dell’anno.