Intervista: Verano. Il bello di uscire dalla comfort zone

Verano (foto di Giuseppe Palmisano)

Venite più avanti, prometto di non spettinarvi i capelli e se succede è colpa di Daniele”. Colei che parla è Verano, al secolo Anna Viganò, una delle migliori cantautrici italiane in circolazione. Lui è Daniele Carretti, chitarrista degli Offlaga Disco Pax e shoegazer noto con il nome di Felpa. A dirla tutta, il duo lascia la chioma piuttosto definita, ma sa scompigliarti dentro. Perché i testi d’amore spesso malinconici e le melodie delle canzoni – che dal vivo hanno un suono decisamente più shoegaze che su disco – creano durante i concerti un’atmosfera sospesa tra sogno e realtà. La stessa che si sente nel singolo più recente di Verano, Specchio, uscito lo scorso aprile. Ne abbiamo parlato con Anna, facendo un po’ il punto anche su questi ultimi anni, che l’hanno vista debuttare con il suo primo ep omonimo nel 2016 e poi confermare tutto il suo talento in Panorama, album del 2018 prodotto da Colapesce.

Anna, sembra che tu abbia ben chiara la strada che vuoi percorrere musicalmente. Non ti stai dando all’it-pop, ma al dream pop/shoezage, che è come fare un giro dalla parte opposta.

“Ti ringrazio del ben chiara, ma di ben chiaro nella mia vita c’è veramente poco! È vero che c’è questa cosa dello shoegaze: in realtà è semplicemente un riaver messo a fuoco delle cose. Nel primo ep (Verano) avevo preso derive molto elettroniche ed erano presenti i Beach House. Nel disco che ho fatto con Colapesce sono andata su suoni più caldi, ma c’erano ancora dei riferimenti elettronici. Adesso sto prendendo una direzione che è un po’ la fusione di queste due anime. Secondo me, lo shoegaze tornerà di moda… e se non tornerà non me ne frega niente, perché a me piace un sacco”.

D’altronde è un po’ un’attitudine degli shoegazer trovarsi bene tra pochi intimi. Tanto che in questo blog lo shoegaze è definito “il punk degli introversi”. Ti ci ritrovi?

“Assolutamente, mi ci ritrovo tantissimo. Non sono punk nell’estetica, nel senso che non ho mai amato troppo quel tipo di stile: non sono una fighetta, però mi piace vestirmi in un certo modo. Sono poco adatta alle regole in generale e sono anche introversa. La definizione mi calza a pennello”.

Tendo a fare barriera, a volermi fare i fatti miei da vera shoegazer presa male

Avevo letto che per il disco precedente ti eri presa una pausa dalla mondanità milanese.

“Sì ed è una scelta che dura tuttora. Nelle grandi città, dove ci sono tantissime cose da fare, s’innesta questo meccanismo che bisogna continuare a vedersi e finisci per incontrare un sacco di gente con cui non ti dici mai veramente un cazzo. Tempo fa, in occasione del Mi Ami, scrissi uno status che vale sempre e comunque: Non ho visto nessuno, ma ho salutato tutti. Che è un po’ il concetto di Milano. Non è sbagliato, perché anche una persona di passaggio ti può dare qualcosa, ma ci sono dei momenti in cui non ho più voglia di fare la spugna. Tendo a fare barriera, a volermi fare i fatti miei, da vera shoegazer presa male”.

Il tuo nuovo brano, Specchio, riflette questo tuo atteggiamento? 

“È un pezzo che descrive un vero botta e risposta tra me e una persona con cui c’è stato molto amore. Ci scambiavamo dei dialoghi veloci, quasi in forma canzone: è fondamentalmente quel tipo di relazione potente che però dopo un po’ perde i suoi colori per vari motivi. Lo specchio riflette un’immagine, se vuoi molto romantica: ti sto sorridendo, ma è solo un riflesso, non è una presenza vivida. Tra l’altro credo sia il brano più My Bloody Valentine che abbia mai fatto: dal punto di vista della produzione volevo immergermi nello shoegaze più iconico”.

Allo specchio parli con te stessa: lo fai anche nella vita?

“Lo specchio di oggi per me sono le Instagram Stories, o comunque questa voglia morbosa che abbiamo tutti, me compresa – e a volte mi dico: Ma che cazzo fai?! – di specchiarci digitalmente in una dimensione che è tanto importante quanto quella che viviamo nel mondo fisico, se non di più. A volte abbiamo più dialoghi là dentro che fuori nel mondo reale. Ogni tanto in questo specchio ti ci riconosci, ma molto spesso dici: Mah, non sono io, forse devo specchiarmi meno, devo esprimermi di meno”.

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(foto di Sami Oliver Nakari)

Un po’ di scroll sul tuo Instagram l’ho fatto: alla fine è una pagina come potrebbe essere quella di una ragazza qualunque, te lo dico come un complimento. Non mi sembra costruita.

“Ci tengo molto a questo. Lo ammetto: ho avuto anche il io mio periodo di fissa, perché è normale, fa parte del nostro lavoro. Devi semplicemente scegliere e io ho scelto che non mi importava più del timing per postare, delle regole che ci sono dietro a un post. Posso anche non pubblicare nulla per due settimane, non mi interessa più. Lo so che perdo le interazioni, che perdo tutta un’altra serie di cose, però nella misura in cui ho deciso di fare del realismo vero nel mio profilo, non mi impongo più quella roba lì. All’inizio ho un po’ sofferto: vedi il calo dei like, per esempio, poi però me ne sono fregata e ora sono molto più serena. Posto solo cose che sento rilevanti nella mia vita in quel preciso momento”.

La musica quanto è rilevante nella tua vita? 

“Ho un rapporto strano con la musica. Sia da musicista che da ascoltatrice funziono come una fisarmonica: ho dei momenti di avvicinamento, quindi di grande produzione e ascolto, e altri di allontanamento. Non sono mai stata quella che torna a casa e prende uno strumento, nonostante a casa abbia più chitarre che scarpe. Non si tratta di odio/amore: nella vita sono così. Mi riempio molto di suggestioni e poi ho bisogno di svuotarmi”.

Tutti ti rompevano il cazzo con il disco dei Thegiornalisti

Mi hai fatto venire in mente la tua canzone Cielo su Milano, dove parli di “nuovi album imperdibili” come se fosse quasi un obbligo rimanere aggiornati, sentire la musica più di tendenza.

“Qui te lo spoilero facile, perché mi fa sorridere. La canzone è stata composta nel 2015 e quando scrivevo quella frase – ma premetto che non c’è polemica –  mi riferivo al disco che era appena uscito dei Thegiornalisti: tutti ti rompevano il cazzo con ‘sto album. È una roba prettamente milanese, capita anche con dischi di artisti internazionali: se non hai ascoltato quel cd in quei tre giorni lì sei uno stronzo”.

Quando hai rivelato sul tuo Instagram la collaborazione con Daniele Carretti, lo hai fatto con l’immagine di copertina di Socialismo tascabile, scrivendo quanto ti avesse colpita. Manca al giorno d’oggi un album così?

“Sì. Manca quel tipo di raffinatezza nella produzione. Poco tempo fa abbiamo fatto un concerto per Enrico (Fontanelli) a Roma: la bellezza è stata salire sul palco con Max (Collini), Dani (Carretti), ma anche Cristiano Godano, Gian Maria (Accusani) dei Sik Tamburo, Adriano Viterbini – che io adoro – e rendersi conto dell’epicità di quei brani e soprattutto della raffinatezza della produzione. Da chitarrista ti dico che suonare e capire lo stile di Enrico e di Daniele in quei pezzi è stata una figata totale. Farebbe bene in questo momento un progetto del genere”.

È stata colpa di Alessandro Baronciani

Allora adesso parlami un po’ di te e di Daniele Carretti.

“Dani è stata una bellissima scoperta. La collaborazione è nata per colpa di Alessandro Baronciani. Un giorno mi dice: Secondo me, ti devi prendere nella band uno tipo Carretti. All’inizio mi è sembrato proprio un commento da ubriaco. L’ho sedimentata per un anno, questa cosa. Alla fine ho scritto a Dani: Non prendermi per pazza, ma vorresti suonare con me? e lui mi ha risposto subito in modo positivo. Minchia, è stato bellissimo! E posso dire che ci troviamo molto bene assieme: al di là che si è inserito subito benissimo nella band, l’ho sentito affine sia a me che agli altri ragazzi del gruppo. Lui e io abbiamo riarrangiato il mio ultimo disco in chiave più electro, ora stiamo facendo un tour in duo e stiamo producendo nuove canzoni”.

Quali sono i tuoi progetti?

“Fare cose che escano dalla mia comfort zone e che mi facciano sperimentare discipline nuove, o quantomeno toccarle lateralmente. Sto scrivendo il nuovo disco e tra poco uscirà un brano di cui non anticipo nulla… Ma stay tuned, come dicono quelli veri”.

Donne e musica: il critico musicale Jim DeRogatis nel documentario Beautiful noise del 2014 ha detto che “Deb Googe è nella band perché è una grande bassista. Punto”. Secondo te lo shoegaze è un genere più egualitario di altri?

“Non so se gli shoegazer siano più sensibili degli altri. Certo, magari per certe cose lo sono, ma dire che è un genere musicale bilanciato è forse troppo. Beh, facendo due conti, in effetti è vero che c’è una percentuale di donne in più, ma perché magari è andata loro di culo. Sulla frase in sé mi trovi assolutamente d’accordo: dovrebbe essere sempre così. Sei in una band perché sai suonare uno strumento, non perché sei uomo o donna. Già mi ero espressa tempo fa sulle quote rosa al Primavera Sound di Barcellona: capisco che a volte servono dei gesti forti per spaccare degli argini, però da donna non so quanto mi farebbe piacere essere chiamata lì solo perché ho le tette”.

E per quanto riguarda la solidarietà femminile nella musica?

“È una cosa che si sta sviluppando, a volte il limite tra il lo faccio perché sono visibile e il lo faccio perché ci credo davvero è labile, ma va benissimo. Perché è giusto provarci che non fare nulla. Sicuramente in altre zone del mondo si è più avanti, non c’è bisogno di fare i carbonari e aggregarsi, come avviene qua. Ci sono ancora tanti passi da fare, ma voglio essere positiva e non massacrare e basta”.

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Verano (foto di Giuseppe Palmisano)

Qual è il tuo artista dream pop/shoegaze preferito?

“Sono legatissima ai Beach House: credo che si senta anche da come scrivo che sono piuttosto presenti nelle mie cuffie”.

Hai una loro canzone da darci per la nostra rubrica su Facebook Notte Shoegaze?

“Ne ho tante, solo che sono negatissima coi titoli, quindi mentre parlo con te sto consultando la mia personale playlist della notte…”.

Soffri ancora d’insonnia?

“Eh, purtroppo sì”.

E cosa fai di notte?

“Vago tantissimo, scrivo tanto… Trovata la canzone: s’intitola Wild. Comunque, non scrivo soltanto canzoni, credo che potrei pubblicare una decina di libri”.

Non ci hai mai pensato?

“Per ora no, ho tanti racconti e quando li faccio leggere agli amici più stretti restano sempre molto colpiti quindi chissà, magari prima o poi… Quelle cose lì ti devono un po’ capitare, perché non andrei mai da un editore credendomela e dicendogli: Bella zio, fammi il libro!”.

Parlando di racconti, mi è venuta in mente una tua foto Instagram dove hai un cagnolino ai piedi e leggi David Foster Wallace.

“Ero ad Austin. Ho vissuto lì per un certo periodo e avevo due bassethound. Uno leggeva con me Infinite jest, era molto carino.”

Il libro lo hai finito?

“Certo che no: faccio parte di quel 99% che non lo ha mai finito.”

A proposito di cani, ho visto che hai un corgi. È un omaggio alla Regina Elisabetta?

“No, amo proprio i corgi! Anche questa è una storia molto curiosa: ho passato tre anni della mia vita a fare foto di corgi e mandarli ai miei amici via Instagram. A un certo punto quindi me ne hanno regalato uno, si chiama Pizza. Il mio cervello non ha ancora registrato che ce l’ho, nonostante sia con me ormai da un anno, e quindi ogni giorno quando lo vedo al risveglio ho l’effetto sorpresa, è incredibile”.

Non gli hai scritto ancora una canzone?

“Ancora no, gli canto tanti brani stupidi, ma un pezzo solo per lui no. Adesso da tre giorni ho preso un gattino che si chiama Sabrino: quindi semmai dovrò fare una cosa per entrambi i miei figli”.

Allora sarà questo il tuo vero futuro progetto.

“Esatto, non lo volevo svelare, ma adesso lo sapranno tutti”.