Milano, 24 maggio 2019. È la serata che aspettiamo da tempo e che ci lascia impazienti, in quello stato di agitazione e fermento che mi ha ricordato mio padre tanti anni fa, poco prima della finale di Champions League tra Inter e Bayern Monaco. All’Ohibò però non si tratta di competizione, di vinti e vincitori, ma di un’unica grande squadra che in questa quarta edizione dell’In a State of Flux è composta da Plateaux, Red Mishima, Backlash e Rev Rev Rev, band simbolo dello shoegaze italiano.
Nato da un’idea di Davide de Polo (Soon, The Mystic Morning, The Persuaders DJ set) e ispirato al famoso Rollercoaster Tour britannico, che vedeva in line up nomi come i My Bloody Valentine, i Jesus and Mary Chain e i Blur, In a State of Flux racconta che cos’è oggi la scena nazionale shoegaze (e derivati). È dunque un appuntamento che ha come obiettivo quello di diventare, nel tempo, un vero e proprio punto di riferimento per gli appassionati del genere. Il festival è organizzato dai ragazzi del collettivo Mutiny in collaborazione con Costello’s, ai quali si aggiunge una rete di media partner tra cui Shoegaze Blog e Shoegazin’ Your Waves, con il supporto promozionale di Kool Things Promotions.
Plateaux: tra country e distorsioni
(clicca sulle foto)
Chi meglio di loro poteva rompere l’atmosfera dell’Ohibò e iniziare a erigere il muro del suono? Loro sono i Plateaux, una band che pare d’oltreoceano e invece è tutta italiana e milanese. L’America, i suoi paesaggi mastodontici dai colori caldi e incontaminati: questo è l’immaginario che si ritrova nelle canzoni. Dall’attacco con la novità Leaves of grass alla chiusura con Grand Armada (Plateaux, 2017), non si perde di vista il focus progettuale dei Plateaux: un singolare intreccio di suoni country e new wave, psichedelici e folk, il tutto colorato da distorsioni rilassate che potrebbero accompagnare un viaggio lungo la Route 66.
L’estetica dark e anni Ottanta dei Red Mishima
(clicca sulle foto)
Nella squadra del festival non poteva mancare una band dai toni scuri, ancorata al terreno degli anni Ottanta e Novanta e del post-punk ferreo e macchinoso. I Red Mishima da Bologna sono tutto ciò e molto di più: la voce di Corinne rende empatico e umano un genere solitamente alienato nei suoni elettronici. La band funziona alla perfezione: synth, batteria, chitarra e basso creano arrangiamenti nostalgici, pesanti come un drappo nero sull’anima. Marion è il fiore all’occhiello dei singoli prodotti dal 2016, anno di formazione del gruppo. Non è facile essere delicati e allo stesso tempo oscuri, onirici e combattivi: i Red Mishima hanno trovato il giusto equilibrio tra gli opposti.
The Backlash: l’anima brit dello shoegaze
(clicca sulle foto)
Il muro del suono shoegaze non può venire su senza un po’ di originario spirito britannico, attorno a cui i ragazzi dei Backlash, band milanese, hanno costruito la loro proposta. Un sound riconoscibile e personale, di cui la batteria ne è l’essenza aggregatrice, come in Mindtrap, brano principe dell’omonimo primo album uscito nell’ottobre del 2018. I tre musicisti regalano al festival un ritmo incalzante, carico di forza e di influenze psichedeliche e britpop, senza dimenticare quei suoni sporchi, distorti e in loop che amiamo. Degni di nota sono Bright e Dreams in a cage, in cui i loop della batteria risultano puliti e ben strutturati, sia singolarmente che nell’architettura sonora complessiva.
Rev Rev Rev: il fascino della complessità
(clicca sulle foto)
E finalmente arriva il loro momento sul palco dell’Ohibò: i Rev Rev Rev sono gli headliner del festival, la band che tutti aspettano, per accoglierli come meritano dopo l’esperienza all’SXSW festival di Austin. Modenesi di nascita, hanno da sempre puntato all’estero per i loro live: dal 2011 si sono fatti strada fino a diventare uno dei migliori gruppi shoegaze internazionali. Averli ospiti all’In a State of Flux è stupefacente: incantano con la complessità dei loro brani, che creano un’atmosfera onirica all’ennesima potenza. È sorprendente la pulizia sonora, sebbene la voce e gli strumenti siano così stratificati e intricati, quasi avvolgenti nella loro rotondità e opacità. I pezzi soddisfano gli uditi più fini, quelli di chi ama l’equilibrio nel caos senza soluzione di continuità. Il momento clou del live? La chiusura è con Clutching the blade, singolo che anticipa l’uscita dell’album Kykeon, in arrivo a settembre. I Rev Rev Rev ci lasciano con l’acquolina, dando un assaggio degli ingredienti principali del loro nuovo progetto: oscurità sinistra, psichedelia meccanica, ossessione profonda.
Cosa si cela dietro tutto il rumore?
Le orecchie fischiano, i cuori e le membra vibrano. Le luci sul palco si spengono. Il muro del suono è stato eretto. A sentirlo, è stato meraviglioso nella sua costruzione. E dietro a tutto questo rumore, cosa si nasconde? Cos’è davvero l’italogaze di cui si parla, con la solita mania di voler mettere etichette e cristallizzare ciò che in realtà muta nel tempo e nello spazio? La risposta a caldo potrebbe essere che lo shoegaze italiano è in linea con quanto di più eccezionale si ascolta all’estero, dove la musica di livello non è di nicchia. La risposta ragionata è invece che c’è ancora molta strada da fare e l’In a State of Flux è proprio l’inizio che serviva: un festival organizzato da un collettivo che può unire le band, per crescere in un territorio come quello italiano che ha bisogno di un nuovo rinascimento musicale.
Post scriptum
Shoegaze Blog non si è lasciato sfuggire neanche questa occasione per regalare a ogni shoegazer presente la seconda versione del blog in formato cartaceo. Ed ecco chi abbiamo fermato per qualche foto…
(clicca sulle foto)