Bologna, 2 marzo 2019. Il Locomotiv Club è immerso in brusii sempre più intensi. C’è chi è in anticipo, perché ama crogiolarsi nell’attesa, e chi arriva in ritardo, forse per una certa allegra disattenzione nel contare i minuti che mancano a un incontro. I Giardini di Mirò non si fanno attendere molto, fremono dalla voglia di varcare la soglia dello stage per condividere la loro musica, il loro ultimo fiore dal titolo Different Times, a maggior ragione qui, in Emilia-Romagna, la loro terra. Pesano ogni nota, ogni respiro, ogni parola non detta o sussurrata dolcemente. Sei corpi della stessa sostanza di sogni surreali e mai raccontati.
Di fronte a loro, tante anime che fluttuano leggere o restano immobili come monoliti nei giardini infiniti dell’immaginazione. Dove fluiscono queste anime? In un deserto affollato? Negli abissi di un oceano asciutto? Oppure tra ghiacciai di pietre vulcaniche? Forse anche – tra passato, presente, futuro – in cima a un alto palazzo di Hong Kong, sotto un cielo di vaniglia, in bilico tra il vuoto e il cemento. Paesaggi interiori a più livelli, ancorati anche al silenzio loquace di brani senza testo, tra post-rock, dream pop, jazz e psichedelia orientaleggiante, in un blending equilibrato e apprezzabile in ogni sua sfumatura.
Con gli occhi chiusi si oscilla avanti e indietro. I suoni vivono e i cuori vibrano in un buio limpido.
Sono io o esiste un noi?
La musica, quella buona, non fa sentire soli. Neanche quando lo si è.