Che cosa resta del post rock: i grandi ritorni di Epic45 e This Will Destroy You

This Will Destroy You (foto: Bandcamp)

All’inizio degli anni Duemila, i titoli dei brani erano forse più importanti della musica stessa. Dovevano essere lunghissimi e sarcastici, quasi surreali. Non ho mai capito perché. Giacomo, un ragazzo appassionato di post rock con cui ho suonato in un gruppo che ha avuto vita breve, aveva una sua teoria: “Noi non siamo mica gli U2” e chiudeva lì la faccenda, qualunque cosa volesse significare, con quel suo classico sorrisetto sbilanciato – più gengive che denti, più arroganza che divertimento – che a volte era tutt’altro che rassicurante. Sembra quasi che la tendenza al cinismo si incolli alla perfezione in chi è nato negli anni Ottanta e ha cominciato ad ascoltare seriamente gli U2 con Pop anziché con Zooropa.

Un mucchio di parole

Questa storia dei titoli non mi ha mai convinto fino in fondo. A me sembravano solo una scusa per sviare l’attenzione dal centro della faccenda. Come quando dici un mucchio di parole tarate grossolanamente sul livello della conversazione, soltanto per non svelare a chi ti sta davanti chi sei davvero, per non mostrare mai – nemmeno per un secondo – il tuo cuore scomodo e pieno di sassi irregolari. Quell’umorismo un po’ elitario riusciva – e riesce – bene ai Mogwai e a pochissimi altri (eppure anche loro hanno saputo svelarsi, altroché). In contesti differenti – in band differenti – sembrava invece più una scusa a non andare oltre, un post scriptum stonato in una confessione accorata. Forse dunque è per questo che il momento di gloria del post rock è durato poco, talmente poco che è diventato subito parodia persino tra chi ci credeva davvero. O forse non ci credeva abbastanza. Eppure ancora oggi il post rock – proprio come lo shoegaze – ha tanto da dire e da dare. Anzi, si può affermare che oggi è un genere musicale molto più libero, dinamico e creativo di quanto non fosse un tempo. Chiedi ai maestri.

epic45
Epic45 (foto: Facebook)

Gli Epic45 tornano sette anni dopo Weathering con un nuovo ottimo album, Through broken summer. Che poi, nel loro caso la parola post rock non è sufficiente per raccontarne i picchi emotivi: pezzi come Sun memory e Hillside ’86 cominciano dalle parti degli Slowdive più rarefatti e finiscono per diventare esempi perfetti di un dream pop dilatato al massimo. Outside, invece, sembra un omaggio alla scena indietronica dei primi anni Duemila, tra i Notwist e gli Hood. Notevole davvero.

I This Will Destroy You sono usciti con due splendidi dischi nuovi in poco meno di un mese: New others part one e New others part two. In pratica, la band americana raggiunge il massimo storico in termini di impatto, grandeur, complessità. C’è tutto il meglio del post rock: la sua epica triste e necessaria, i suoi crescendo pazzeschi, la costruzione melodica che schianta l’aria. I brani? Sound of your death è l’incendio, Lie down in the light è la tempesta, Cascade è tutto il resto. Ed è bellissimo.