“E tu che vuoi?”.
Mi fulmina in un secondo con quattro parole. Mi aspettavo di trovare una rockstar anziana in luna di miele con l’autodistruzione, mi ritrovo con un nerd cinquantenne o giù di lì che sembra un Silent Bob appena invecchiato e piuttosto annoiato. Gli enormi occhiali sunburst – un modello da Prima Repubblica, una montatura alla Arnaldo Forlani – sono una maschera che filtra il suo sguardo stretto e lo restituisce ancora più piccino, stralunato e indecifrabile. Ovviamente nemmeno mi degna di un’occhiata. Lo trovo sul backstage del concerto di una notissima band inglese: se ne sta appartato in un angolo mentre smonta i pickup di una Telecaster. Accanto a lui una ventina di pedalini – una buona metà fuzz, il resto riverberi e delay di ogni tipo – sono schierati come gattini in attesa della pappa. Mi avvicino e il mio acufene aumenta all’improvviso d’intensità, senza che lui abbia nemmeno suonato una nota.
Signor Shoegaze, non volevo disturbarla.
“E allora non disturbarmi. Che ho da fare”.
Ma lei per me è un mito, ho pure un sito che si chiama Shoegaze Blog.
“Mi dispiace per te, ma io detesto l’adulazione. Non me ne frega nulla, non voglio essere il mito di nessuno. Queste cose lasciamole ai Depeche Mode, piuttosto”.
A me piacciono i Depeche Mode.
“Ecco, appunto. A me no. Quando loro cantavano Enjoy the silence, io ascoltavo Dreams burn down dei Ride. Altro stile”.

Che cosa le piace, allora?
“Sto per aprire una pagina YouTube dedicata ai pedalini per chitarra, s’intitolerà When the fuzz hits. Vorrei diventare il nuovo Andrea Galeazzi: lui con i telefonini, io con i pedalini. Galeazzi sì che è uno bravo, guardo sempre i suoi video. Anche se parla un po’ troppo bene di Apple. Tu che smartphone hai?”.
Un iPhone SE.
“Sfigato. Un telefono microscopico con delle cornici enormi a un prezzo assurdo. Io ho un Oneplus 5T, che ho modificato inserendo il circuito di un Op Amp Big Muff degli anni Settanta: collegandolo a una chitarra in adamantio ottenuta da una stampante 3D e a un amplificatore valvolare alimentato a scorie nucleari, trasformo lo smartphone in un distorsore talmente potente che alla fine sentirai solo i topi mangiare quel che resta delle tue orecchie”.
Secondo Rod Stewart, When you sleep dei My Bloody Valentine suonata al contrario diventa Da ya think I’m sexy
Scusi, ma lei lo smartphone non lo usa come fanno tutti? Scambia messaggi su WhatsApp? Ce l’ha un profilo sui social?
“WhatsApp non lo uso, preferisco Telegram. Twitter lo utilizzo sotto falso nome per trollare i fratelli Gallagher, mentre su Facebook sono assediato da richieste di amicizia: mi scambiano tutti per un negozio di scarpe, manco fossi Zalando. L’altro giorno ho litigato su Messenger con Rod Stewart perché sostiene che When you sleep dei My Bloody Valentine suonata al contrario diventi Da ya think I’m sexy. Gli ho detto che è un cretino e lui, permaloso, mi ha tolto l’amicizia”.

Si prende la piena responsabilità di quello che ha appena affermato. Che mi dice di Instagram?
“Avevo aperto una pagina su Instagram, volevo pubblicare i miei selfie come fa Michael Stipe: non so perché, ma venivano sempre immagini sfocate con colori assurdi. Ho dovuto rinunciare. Le storie di Fedez però sono appassionanti. L’altro giorno mi sono un po’ commosso vedendo Leone in braccio alla nonna”.
A volte mi prende il momento Zlatan e parlo di me in terza persona
Stiamo un po’ divagando, mi sembra. Volevo solo chiederle come sta. È tornato di gran moda in questi ultimi tempi, dopo decenni passati lontano dai palchi più importanti e dalle riviste che contano. È una rivincita per lei? Si è sentito bistrattato?
“Non me ne frega niente, lo ribadisco. Peraltro a me sembra che tra i ragazzi di oggi la mia popolarità non sia ai massimi livelli. Qualche tempo fa Bradford Cox mi aveva consigliato di iscrivermi a Snapchat per farmi conoscere dai teenager. Ho lasciato perdere dopo mezz’ora: ho provato a fare ascoltare le canzoni dei Be Forest a un gruppo di diciassettenni, mi hanno risposto citando Sfera Ebbasta. Ne sono rimasto all’inizio un po’ disorientato, ma meglio così, perché in fondo lo Shoegaze è sempre stato incompreso e minoritario, come la sinistra italiana. E ne sono orgoglioso. Diciamoci la verità: lo Shoegaze non punta ai grandi numeri, al consenso popolare, alla top ten. Lo Shoegaze è da sempre per l’estremismo dei suoni e… scusami, a volte mi prende il momento Zlatan e parlo di me in terza persona”.

Ma lei che ne pensa dei grandi ritorni? Le è piaciuto l’album degli Slowdive?
“Con loro ebbi una lite ai tempi di Pygmalion. Mi sfidarono dicendo che potevano fare a meno di me. E infatti si sciolsero poco dopo, lasciando campo libero a quel cazzo di brit pop. Ero furioso. Per quasi vent’anni non ci siamo parlati. Poi un giorno ci siamo visti nel backstage del Primavera Sound del 2013, durante il concerto dei My Bloody Valentine. Rachel mi confessò che sentiva la mia mancanza e che voleva ripartire da zero con me. Io le risposi che comunque Pygmalion era un gran disco e che all’epoca non glielo dissi perché sono sempre stato un tipo orgoglioso. Ci siamo abbracciati durante la parte incasinata di You made me realise. Gli altri erano con le dita nelle orecchie, io ero con il cuore in gola”.
Ultimamente che cosa ha ascoltato?
“Tutto quello che ha riverbero, distorsione e un’eco di malinconia”.
Signor Shoegaze, prima di salutarci può dirmi come sono le nuove canzoni dei My Bloody Valentine?
“Le chitarre suonano così: WoOoooOOWWWOoooOWWWOoooWWW. Bello, no?”.