The Sorry Shop, “Softspoken”

Il controllo. È qualcosa cui nessuno fa mai caso. Spesso si tende a immaginare lo shoegaze come un giocattolino per gente con molti effetti e poche idee, anzi una sola: accendere tutti i pedali e vedere che cosa succede. Non è così. Suonare shoegaze è invece una questione di disciplina, prima ancora che di istinto. È travolgere senza essere travolti. È eccedere senza essere eccessivi. Discorsi da matti? Tutt’altro. Lo shoegaze – quello fatto bene – è un caos rigido e rigoroso, in cui niente deve andare storto: basta davvero poco – un feedback sfuggito alla chitarra, un’equalizzazione pensata male, un volume generale sbilanciato – per finire colpiti e affondati. Perché lo shoegaze – altro fraintendimento – non cerca il casino per il gusto di fare casino: lo shoegaze scava nel frastuono per trovare l’armonia e la bellezza.

La lezione del suono giusto

The Sorry Shop
The Sorry Shop

La lezione del suono giusto i Sorry Shop l’hanno imparata molto bene. La band brasiliana ha una capacità di sintesi sonica davvero notevole e il nuovo disco, Softspoken, è un gioiellino inaspettato, di quelli che noti quasi per caso e non molli più. Daydream dancing è il prototipo della canzone shoegaze perfetta: le chitarre fanno zig zag tra le note, accennano e poi affondano, avanzano e si ritirano. È un modo consapevole di sfruttare un classico del rock – l’alternanza tra piano e forte – che garantisce dinamica e, se accompagnata da una melodia sommersa e sognante, permette di esaltare le qualità di una band. Pearls è un brano che si poggia su due o tre capisaldi dei My Bloody Valentine e ne sintetizza quell’essenza che ha fatto storia: sussurri malinconici che risuonano a mille chilometri di distanza mentre intorno è solo forte vento e tanta, tantissima acqua. Queen of the north è invece il momento esatto che alza il livello e trasforma i Sorry Shop da band interessante a gruppo rilevante nella scena shoegaze internazionale. Che sorpresa.