Lunedì shoegaze. Il mese delle classifiche

Øverflow (oppure Overflow? Boh)

Inizia dicembre, inizia il periodo delle classifiche di fine anno. Quella di Shoegaze Blog è in preparazione, ma nel frattempo le nuove uscite proseguono e quindi ecco cinque proposte che, molto probabilmente, non ti lasceranno indifferente. Puoi fidarti.

Heaven Or Las Vegas, Laguna beach

«Non mi vuoi sentire», cantano gli Heaven Or Las Vegas, ma qui li vogliamo sentire eccome. E vogliamo sentirli proprio così: con le chitarre svelte, il veleno nella voce, il groove insistito. Indie rock + post punk + dream pop = Laguna beach. Rispetto al primo ep, la band sembra aver reso il suono più caldo e abrasivo, ma l’attitudine shoegaze resta tale e quale. Spoiler: il disco in uscita il prossimo 14 dicembre 2024, intitolato Lascio fuori la realtà, sarà una conferma.

Jeppe Davidsen, April

C’è uno strano stigma nei confronti dell’autotune, che per molte persone è solo la traduzione in suoni della parola merda. In realtà è uno strumento come un altro, dipende da come lo si usa: c’è chi lo fa in maniera tragicamente banale, c’è chi sa sperimentare. Il danese Jeppe Davidsen ne fa un utilizzo vincente, avventuroso e coerente, ben amalgamato con un suono shoegaze perfettamente sincronizzato con la modernità. Pare di ascoltare un incrocio interessante tra i primi My Bloody Valentine e l’ultimo Alan Sparhawk. Niente male.

Øverflow, One mile away from being fine

L’altro giorno sono stato al locale di Manuel Agnelli, Germi, per una rassegna dedicata a band emergenti, Carne fresca, e mi ha colpito il fatto che l’età media oscillasse tra i 14 e i 20 anni e che la musica fosse per lo più un rock scontroso e ispido. Ho percepito un meraviglioso senso di comunità che solo lo stare in una band riesce a darti. Non avevano detto che la gioventù di oggi vuole solo guadagnare bei soldoni con la trap? Ecco, gli Øverflow – non è chiaro se la “o” iniziale è barrata o no – hanno tra i 15 e i 18 anni, suonano una roba che unisce emo, grunge e shoegaze con una precisione e passione impressionanti. Fanno tutto alla maniera giusta: fedeli agli anni Novanta, ma con la freschezza necessaria per liberare questi ragazzi dalla trappola di una nostalgia che evidentemente non può appartenere loro. Chi ben comincia.

Winter Gardens, Search party

La premessa, diciamo così, accende la curiosità. «Durante la registrazione del brano stavamo avendo alcuni problemi con il basso. Alla fine, il nostro produttore ha usato un saldatore su una buccia di banana sia per riparare il basso che per ottenere il tono desiderato per la traccia». Che cos’altro potrei aggiungere? I britannici Winter Gardens schivano la buccia di banana con gran stile e si danno un gran da fare con un pezzo synth pop espanso, denso e ballabile, a cui si aggiunge una vocalità malinconica e post punk che dona una particolare oscurità all’intera composizione.

Disarme, Change

Mi ha colpito molto la motivazione alla base delle composizioni dell’artista franco-malgascia Disarme: «Desidero creare qualcosa che possa emozionare la me stessa quattordicenne». È una delle definizioni più precise e totalizzanti che abbia mai letto. Date le premesse, il singolo Change non poteva che essere ciò che è: uno struggimento in slow (e)motion, una ballata scura, empatica e bellissima, una musica anni Novanta – con quel nome, poi, che richiama gli Smashing Pumpkins – rielaborata attraverso GarageBand. Una sorta di colonna sonora disillusa e drammatica per la generazione Millennial, che Disarme chiama Generazione Y (dove la y, non a caso, va letta come why).