Da quando gli Slowdive sono tornati in attività, avrò sentito parlare di rinascita dello shoegaze almeno una volta ogni biennio. Stavolta, però, la faccenda riguarda anche i gruppi di nuovissima generazione. Il merito è di una corrente che ha rotto gli argini di TikTok e Reddit per riversarsi su Spotify: lo zoomergaze. Un termine che, messo così, è forse incomprensibile a chiunque abbia grossomodo più di 25 anni, ma che invece è considerato identitario da chi vive la propria giovinezza galleggiando a filo tra la minore e la maggiore età.
Come si pronuncia souvlaki?
La parola zoomer viene usata in riferimento alla generazione Z, un po’ come boomer per i baby boomer. Dunque, date le premesse, la spiegazione è semplice: lo zoomergaze è lo shoegaze della Gen Z. Che cosa sia in concreto questa musica lo racconta in maniera un po’ confusa (ma a modo suo illuminante) un video pubblicato qualche mese fa su YouTube (ammetto di aver mollato quando il tizio si blocca perché non sa pronunciare la parola souvlaki: e allora ok, zoomer).
Il grunge, senza la disperazione
Di fatto, nelle coordinate base dello zoomergaze ci sono elementi che conosciamo bene: il riverbero sovrabbondante, le voci fantasmatiche, le distorsioni tridimensionali (alla Nothing), a cui bisogna aggiungere un tocco di follia hyperpop. Si tratta insomma di una sorta di riedizione gaze della formula base grunge, senza la disperazione di chi ha vissuto in diretta quella rivoluzione (finendone annichilito, letteralmente), ma con un malessere comunque insidioso e indefinibile che spesso accompagna la contemporaneità digitale dei nostri tempi. La statunitense Wisp grazie al singolo Your face (la voce, registrata con dei semplici auricolari, è stata incisa su una base realizzata da grayskies) è diventata il punto di riferimento della scena. Tra gli altri produttori dell’ep Pandora c’è anche Kraus, uno che con il suo shoegaze fragoroso ed emozionale ha contribuito a stabilire lo zoomergaze.
Purtroppo, per fortuna
In un articolo recente si sottolinea con forza come questo non sia solo un suono, ma un movimento generazionale che include una certa idea estetica che prende spunto dalle possibilità del digitale. Il punto, però, è che in un’epoca in cui si parla della fine delle etichette in musica, ecco che anche la Gen Z crea categorie a proprio uso e consumo: lo zoomergaze e l’hyperpop non hanno nulla di diverso rispetto al grunge e allo shoegaze, sono tutti termini-ombrello che racchiudono e uniformano esperienze diverse, per renderle catalogabili e dunque digeribili a un pubblico il più vasto possibile. A dimostrazione del fatto che ogni generazione ha la sua colonna sonora e le sue coordinate, com’è giusto che sia. Ma la bella musica prescinde dalle targettizzazioni algoritmiche e dagli steccati generazionali: così come ai concerti degli Slowdive ci sono tante persone di vent’anni, allo stesso modo sono certo che la musica di Wisp possa parlare anche a chi ha quaranta, cinquanta o settant’anni. Dunque è limitante e un tantino reazionario mettere in contrapposizione zoomergaze e shoegaze. I tormenti, i batticuori e le malinconie non invecchiano mai. Purtroppo. Per fortuna.
