Uno dei miei sogni ricorrenti mi vede prossimo alla vecchiaia – a chi dice che lo sono già tolgo il saluto – assieme al mio gatto Mogwai. Ce ne stiamo in soggiorno a fare ciò che a entrambi viene meglio: lamentarci. Lui miagola, io mugugno: sai che concerto rassicurante. Dalla finestra filtra un sole strano, di un colore ibrido tra arancione e azzurro, che illumina ma non scalda e che disegna strane lame di luce sul manto nero e lucido del mio amico qui accanto. Poi metto su un disco di musica dream pop e questa luce diventa più intensa, quasi prende vita. E mi ritrovo di nuovo con la chitarra in mano, a suonare accordi strani e riverberati come se nella mia vita ancora tutto debba succedere. E forse è davvero così.
Glazyhaze, What a feeling
Giorgio Moroder non c’entra nulla, questa dei Glazyhaze non è una cover dream pop – ehi, non sarebbe una cattiva idea! – bensì il primo brano dal nuovo album in uscita nel 2025. Due minuti o giù di lì di shoegaze a martello che lascia forse intuire come qualcosa sia destinato a cambiare rispetto al precedente Just fade away, il disco magico e onirico che ha scandito una buona parte dei nostri ascolti del 2023. L’abbiamo già detto che ci piacciono un sacco? Vai a sentirli dal vivo: suonano in Europa e in Gran Bretagna, prendi il primo volo e fatti questo regalo.
Gary’s Dream, Dancehall doom
L’arpeggio di chitarra incardinato in un elegante ritmo un-due-tre, assieme alla voce che è una confessione notturna di quelle in cui ogni parola ti rende trasparente, rientra in una classica malinconia codificata Beach House, con qualche bel coriandolo Cocteau Twins a corredo. Poi c’è l’esplosione finale, che è un girotondo armonico robusto, elettrico, emozionante, ed è lì che il talento di questo gruppo diventa qualcosa di evidente e irresistibile. Gli statunitensi Gary’s Dream sono bravi e sanno il fatto loro.
Buzhold, Woven
È interessante come ci siano ancora band che producono dei singoli della durata di quasi cinque minuti, quando il mondo discografico e gli algoritmi di Spotify stanno spingendo alla brevità, al non perdersi in fronzoli, al gettare la maschera al minuto 00.01. Gli estoni Buzhold invece se la prendono comoda e imbastiscono un girotondo di false partenze che consente al brano di trovare il giusto respiro prima di aprire le valvole e sputare fuori una rabbia nichilista a metà tra grunge e shoegaze, perfettamente sincronizzata con la vita reale. È una musica che non vuole indorarti la pillola. Ed è giusto così: «Live poor, dream poor, work poor, die poor, love poor, fuck poor».
