Alcune voci sembrano fatte per stare sospese. Quella di Gioia Podestà, per esempio, vive a metà strada tra l’eco e l’urgenza: un attimo prima è un sussurro che si perde nei riverberi, un attimo dopo è una lama affilata di luce elettrica. Dopo l’esperienza con gli You, Nothing, oggi — da una nuova casa in Belgio — guida i Maquillage verso sonorità in cui shoegaze e dream pop si alternano e si completano: per esempio, il loro nuovo brano Moon è tutto quello che vorremmo ascoltare in un sogno in slow motion. Ma non solo. Gioia, infatti, vive pure la chitarra come se fosse l’appendice naturale del suo umore e parla la nostra lingua fatta di offset, fuzz e riverbero quanto basta. Era destino, insomma, che fosse la seconda ospite della rubrica Senti come suona.
Quando hai iniziato con la chitarra?
«Avevo undici anni. Oggi ne ho quasi 33, quindi un bel po’ di tempo fa. È stato semplice perché ho cominciato alle medie. Non so com’è adesso, ma all’epoca si suonava sempre il flauto».
Un grande classico, come la pianola a fiato.
(ride) «Oddio, imbarazzante. Comunque, noi avevamo un insegnante che ci aveva dato come opzioni il flauto o la chitarra, si era offerto di insegnarci a suonare questo strumento. Su una classe di venticinque persone abbiamo accettato in sei o sette. Tra l’altro avevo una vecchia chitarra classica di mia madre».
I miei nonni mi hanno regalato una Jaguar giapponese
E l’elettrica?
«Dopo il primo anno alle superiori i miei nonni mi hanno regalato una Fender Jaguar giapponese, che ho ancora adesso».
Viva i nonni appassionati di chitarre offset.
«Ce l’ho da diciassette anni più o meno, ormai è vintage».
Qual è stato il disco che ti ha fatto scattare il momento eureka con lo shoegaze?
«Ho avuto vari momenti. Intorno ai tredici anni ho attraversato il periodo pop punk, Green Day, Avril Lavigne. Poi dalla prima superiore è partita l’era del rock alternativo italiano, Verdena, Marlene Kuntz, Afterhours, Prozac+, mio amore più grande. Ho iniziato in una band con me alla chitarra e voce, con una bassista e un batterista. Ho anche registrato un disco. In seguito ho vissuto per due anni a Londra, senza la chitarra con me. Ho ricominciato con la musica solo una volta tornata a Verona. A poco a poco mi sono avvicinata al dream pop, poi allo shoegaze, fino a quando non ho incontrato Federico Costanzi ed è iniziata la storia con gli You, Nothing».

Ho visto che dal vivo alterni la Jaguar con la Jazzmaster.
«La Jazzmaster è una Squier 40th Anniversary, che ho comprato qualche anno fa».
Un modello di cui si parla bene in giro, tra l’altro.
«Devo dire che è diventata la mia chitarra principale, specialmente live. Per i pezzi magari più scuri, più cattivi, uso la Jaguar. Ho come l’impressione che abbia un suono sporco pure nei puliti. Invece la Jazzmaster mi sembra che abbia sonorità morbide e calde e per questo riesco a usarla in più canzoni. Nelle tracce nuove di fatto si sente soprattutto la Jazz».
Non hai problemi nel passaggio dal manico a scala ridotta della Jaguar a quello più lungo della Jazzmaster?
«Non ho mai avuto problemi. In generale sono una super appassionata Fender e la Jazzmaster la sento adatta a me, molto femminile, con un manico sottile, avendo le mani piccole è l’ideale. Per esempio, ho una Epiphone Sheraton che è un soprammobile nel mio salotto: ha un manico in stile Gibson che proprio non mi va a genio».

Dimmi la verità: ma tu suoni con il circuito ritmico attivato?
«Eh, molto poco».
Per chi non sa di cosa si parla, è quel selettore in alto che scurisce il timbro delle Jaguar e delle Jazzmaster. Devo ancora trovare qualcuno che lo usi davvero.
«A me capita di sfruttarlo raramente. Più che altro in sala, quando stiamo registrando. Ma di fatto il selettore è sempre su lead».
Qual è il tuo amplificatore?
«Ho due Roland Jazz Chorus, un 22 e un 50 vintage degli anni Settanta made in Japan, comprato in Olanda da un ragazzo che lo aveva ereditato dal padre, ma non se ne faceva nulla. La scelta è per il clean cristallino e profondo, che a parer mio fa risaltare i riverberi, delay e modulazioni. Il JC-22 è piccolo, ma lo riesco utilizzare praticamente ovunque microfonato e soprattutto in casa, in più è anche stereo. Il JC-50, invece, l’ho usato molto all’inizio con i Maquillage, ma poi l’ho messo da parte per qualche problemino elettrico (aveva la spina olandese) e inoltre un paio di manopole non funzionavano. L’ho fatto sistemare e finalmente funziona da dio. Il chorus analogico è pazzesco».
C’è un brano dei Maquillage che è rappresentativo del tuo suono?
«Direi Sodas, dal primo ep. Molto post punk. Io e il chitarrista ci dividiamo le parti suonate, non è stato facile imparare a suonarla e cantarla contemporaneamente, mi veniva quasi da piangere. Adesso invece mi viene fuori in automatico, è un pezzo che continuiamo a tenere in scaletta perché è divertente da fare».
Quali sono i tuoi pedali irrinunciabili?
«Ho due pedali realizzati dal bassista dei Mondaze, il Promontory, un riverbero che tengo quasi sempre acceso, e il 42 Hz Whale, uno shimmer che adoro, mi ricorda il suono di un synth. Peraltro ha anche una funzione chorus. Poi uso parecchio il Blues Driver e il Super Overdrive della Boss».

Come hai organizzato la tua pedaliera?
«L”ultimo in catena è un fuzz».
Ok, questa è una scelta interessante. Spieghiamo: si dice che le distorsioni vadano messe prima di delay e riverberi. Nello shoegaze, invece, è una prassi mettere un riverbero all’inizio della catena, per dare un suono più stratificato, ma è la prima volta che sento parlare di una distorsione fuzz in coda.
«Le ho provate tutte, scambiando di posto i pedali più volte. Alla fine ho capito che mi trovo bene mettendo prima le modulazioni e poi le distorsioni. Sono contenta del suono, sinceramente non so se esista un modo giusto o sbagliato».
Non c’è giusto o sbagliato, c’è solo ciò che ti piace. Senti, visto che ora vivi in Belgio, che differenza c’è con l’Italia in ambito shoegaze?
«Noto in Italia un’esplosione di nuove band shoegaze, è una cosa bella. Credo che ci sia più passione per questo genere di quanto ce ne sia in Belgio: qui, se parliamo di gruppi composti da persone giovani, c’è più post punk, hard rock e metal. Poi c’è tanta new wave, ma è qualcosa di legato a chi ha quaranta o cinquant’anni. Noi Maquillage comunque stiamo aprendo un’associazione per organizzare eventi, il primo ha riguardato i Cathedral Bells. Io nemmeno ci credevo, ci hanno contattati loro. E pensare che proprio loro erano il mio riferimento quando abbiamo registrato il disco degli You, Nothing».
